“Sono quattro giorni che non cago,
mi sento pieno di merda…”
Che giornata, oggi non ne va bene
una…ho acceso il computer e scaricato l’anteprima di un libro americano che fa
parlare tutti i giornali e inizia: “sono quattro giorni che non cago…”
checcazzo di scrittore è? Iniziare un libro così…che mi frega di quanti giorni
è che non caga sto stronzo, poi dicono
che è un astro nascente, valli a capire sticcazzi di critici letterari, come i professori universitari bocciano o
promuovono in base alle mazzette che piovono sul tavolo.
Artiglio la pagina con il mouse e
la trascino nel cestino. Fuori dalla
finestra a perdita d’occhio si allarga il manicomio dove sono rinchiuso, nessuna speranza, mi connetto a internet e digito una parola
difficile a caso: ”psicoiperfermentazione”, il giocattolo non si stupisce ed apre la
pagina sull’argomento, tra le voci
proprio al centro spicca il titolo:
”SALVE A TUTTI PEZZI DI MERDA!!!!!!!?
Vado
in Africa con mio padre a provare la nuova Ferrari,
chi mi sa dire quale dito è meglio infilare
nel culo di un ippopotamo?”
Sono sbalordito, in America hanno troppa libertà, almeno i ricchi, a pancia piena non sanno che
inventare, ci vorrebbe la fame allora sì che le cose cambierebbero. Wikipedia
immancabile indirizza alla disambiguazione, clicco, tra le voci ci sono:
“Elenco delle portate alle nozze del principe
Castramaiali”
“Università marziana,
modifica dello statuto”
“Fermentazione della
birra con aspirina, risultati e
dibattito”
Nessuna speranza, evito i commenti, disconnetto ed apro il programma del bridge.
Questo è interessante, permette di dare abito faccia e personalità al
socio ed agli avversari, a est ho messo un bue, ad ovest un asino e di fronte ho lasciato
scegliere al computer, tanto che importanza ha?
Il giocattolo smazza per me, est apre di uno picche, il mio socio risponde uno senza, ovest replica due senza… in mano ho sei punti, un re quinto a fiori, una donna terza a cuori, un fante singleton a picche e quattro scartine
a quadri, dalla dichiarazione sono
bilanciati, dodici a testa ma qualcuno
potrebbe averne quindici allora gli altri…vallo a capire stoccazzo di computer,
gioca come gli pare…il mio socio per
rispondere “senza” deve stare bene, l’altro per raddoppiare ancora meglio, allora perché est ha aperto di uno picche?
Deve avere un palo lungo con asso e forse la donna, meglio far scorrere ed aspettare gli eventi, passo ed est senza esitare risponde con tre
picche!
È forte a picche il bue, il socio replica tre senza ed ovest implacabile
salta a quattro senza. Mano del cazzo, il socio ha qualcosa, almeno un asso ma non lo posso aiutare, bleffo dichiarando un cinque quadri a sorpresa
per vedere cosa fanno.
Est passa, il mio socio alza a cinque cuori e ovest
contra.
L’asino ha il palo a cuori, è ovvio, se passo non mi diverto, se dichiaro vado sotto e fatico inutilmente, che giornata, tutto storto, per fortuna suonano all’ingresso ed ho la
scusa per interrompere il gioco ed iniziarne un altro.
“Un giorno potresti bussare alla tua porta e, non riconosciuto, essere
cacciato via.” Strano pensiero, non sono certo della virgola dopo la e, lasciare
l’inciso o far scorrere la frase direttamente, con questa problema che frulla
nella mente vado ad aprire. Nel corridoio ci sono tre vecchietti, uno alto e
magro, uno piccolo e rattrappito e l’altro enorme, sovrastante, grasso
all’inverosimile, con un collare al collo tenuto al guinzaglio da quello
piccolo.
La convivenza con i matti mi ha
insegnato la prudenza, sono estremamente suscettibili e toccarne uno si toccano
tutti, siccome a essere cortese si fa la stessa fatica che a non esserlo
preferisco non rischiare e chiedo: “Checcazzo volete?”
Quello piccolo senza scomporsi
risponde: “Siamo il padrone del mondo, siamo venuti a parlare d’affari.”
Mentalmente analizzo le parole, sono
tre e sono il “una cosa”…nella massa non fanno eccezione quindi sono matti, che
si tratti della santa trinità? Un tempo facevo il pubblicitario ma quel tempo è
passato e oggi dico: ”Non sopporto i mendicanti, fanno troppa concorrenza, andate
a rompere i coglioni a qualcun altro.”
Il piccolo ribatte: “Non siamo
venuti a mendicare, guardi:” Tira fuori
dalla giacca uno spesso mazzo di banconote da cinquecento euro, me li fa
frusciare sotto il naso velocemente e altrettanto velocemente torna a
nasconderli nella giacca. Continua: “Questo per farle capire che non
scherziamo.”
Le ultime parole che dice escono
attutite per una rumorosa scoreggia tirata dal grassone.
I soldi non mi interessano però
mi piace un sacco spenderli e non sono mai abbastanza, per farla breve li
faccio entrare. La cosa non è semplice come dirla, la porta è ampia ma il
grassone di più, il piccolo lo tira davanti con il guinzaglio, il lungo lo
spinge da dietro, infine cede qualche calcinaccio e con non pochi gemiti di
dolore e sostenute bestemmie impronunciabili riesce a passare.
La casa per il momento è ridotta
ad una sala dove c’è un tavolo a cui ci sediamo.
Il piccolo, per tutto il tempo
parla solo lui mentre il lungo si guarda intorno con aria schifata ed il
grassone suda facendo colare a terra grossi goccioloni, evitando i preamboli
dice: “il peso del mondo è diventato insopportabile, siamo in calo e abbiamo
bisogno di una buona pubblicità che ci tiri su. Sappiamo che lei è maestro nel
mestiere e vorremmo affidarle il lavoro.” Tira fuori una cartella piena di
fogli da una borsa che gli porge il lungo e la posa sul tavolo. “Qui ci sono
tutte le informazioni che le occorrono sulle nostre attività e qui…” getta con
noncuranza sopra la cartella il mazzo di banconote. “…l’acconto, sono mezzo
milione, se accetta.”
L’esca è appetitosa ma come si fa a dire, mentalmente
non mi viene niente ma l’intuito di sottofondo, tentatore, consiglia di
accettare. Per precauzione dico:
“Sono anni che non esercito, non
so che può venir fuori, se i soldi me li date a fondo perso potrei provare a
fare qualcosa ma non rispondo di quel che farò…sapete che i miei metodi sono
alquanto stravaganti e non conoscono pietà.”
Il piccolo, ridendo sornione, risponde:
“Così deve essere la pubblicità, purchè
si parli, noi sappiamo che lei è un bravo attore capace di far credere quel
che si vuole ed all’occorrenza…”
Lo interrompo: “Chi le ha detto
queste cretinate? Veniamo al sodo, se mi lascia i soldi così, senza impegno, accetto
altrimenti non me la sento di prendere la responsabilità, potrei essere fuori
uso dopo tutti questi anni di abitudini forzate.”
Su quelle parole il grassone tira
una lunga scoreggia, profonda cavernosa ed estremamente puzzolente, subito dopo
scoppia a ridere come un pazzo e per un buon quarto d’ora è scosso dai singulti
sostenuto dagli altri due. Infine il lungo gli versa in gola un intero
pacchetto di medicine e il grassone si calma tornando a guardarsi intorno con
aria abulica ed a sudare.
“Chi è questo?” chiedo.
Il piccolo, con occhi brillanti, risponde:
“Non lo sottovaluti, noi siamo parte di lui , è il padrone del mondo.”
Prendo i soldi e li controllo, sembrano
buoni, evito di contarli e dico: “Allora, a fondo perso, quel che mi pare?”
“Noi siamo certi che farà del suo
meglio, non appena avrà pronto il progetto ce lo faccia sapere, troverà tutte
le indicazioni per contattarci. Ora ce ne andiamo, per noi il tempo è diventato
mortalmente prezioso e non ci possiamo permettere pause di svago.”
Si alzano e si avviano verso la
porta. Il grassone è gonfiato, sembra raddoppiato e per quanti sforzi facciano
i due non riesce più ad uscire. “Bisognerebbe buttare giù il muro.” dice il
piccolo.
“Qui non ce lo voglio!” rispondo.
“Lo vede anche lei che non passa.”
Il grassone intanto si è messo a
piangere a fontana strillando come un bambino con voce fessa.
Il piccolo dice: “Noi non abbiamo
alcuna intenzione di lasciarglielo, nonostante l’apparenza sappiamo quel che
vale, facciamo così, questa crisi di gonfiore passerà, per il momento rimarrà
qui e più tardi torneremo a prenderlo.”
La proposta non mi piace ma
l’evidenza, per quanto paradossale, non lascia via di scampo e sono costretto
ad accettare.
“Questa cosa deve mangiare come…”
non trovo la parola ed il piccolo sospira: “Oh sì, ha sempre fame, a tonnellate
e non basta mai ma non si preoccupi, ha mangiato da poco e per qualche ora
starà tranquillo, non le darà alcun fastidio.”
Detto questo i due se ne vanno.
Rimasti soli provo a parlargli, gli
chiedo come si chiama, cosa fa, se ha bisogno di qualcosa, checcazzo! Cerco di
essere ospitale ma capisco subito che ci vuole molta pazienza. Non dice nulla, mi
guarda sbavando con un faccione tondo come una pizza quattro stagioni, è alto
più di tre metri, largo altrettanto, qualche rado capello bianco su una testa
piena di bitorzoli incrostati, flaccidi cuscinetti di grasso gli avvolgono il
corpo trattenuto a malapena da una tuta da ginnastica blu con bande bianche, la
bocca larga, aperta sulla dentiera nuova, il naso a mongolfiera e due piccoli
occhietti neri e porcini scavati nel grasso. I piedi enormi e callosi calzati
in sandali con l’infradito.
Annusa l’aria senza curarsi delle
mie parole ed a passo deciso si dirige in cucina, apre il frigo ed in pochi
secondi lo svuota poi prende un divano e lo sventra gettando i pezzi sul
pavimento, si prepara un giaciglio dove si stende mettendosi subito a russare.
È stato così improvviso che non
so ancora che fare, mentalmente cerco di non pensare, prendo l’incarto e le
banconote lasciate dal “padrone del mondo” e mi ritiro nello studio cercando di
fare meno rumore possibile.
Sul tavolo il computer è acceso
ancora sulla dichiarazione di cinque cuori, automaticamente clicco per far
iniziare la partita, il computer scopre le carte del socio, un disastro, neppure
un asso e appena tre scartine a cuori, vedo subito che la partita è persa e per
non perdere tempo l’annullo, spengo il computer ed apro l’incarto per dargli
un’occhiata.
Elenchi di attività, prospetti, indagini
di mercato, multinazionali, megabanche, istituzioni accademiche, editoria, giornali,
televisioni, catene di supermercati, politica, petrolio e continua, fatturati astronomici, pubblicità attive e passive, sono
sbalordito e per giunta ancora poco convinto di aver fatto bene ad accettare il
denaro. Aiutato da un prospetto indicativo riesco a fare ordine raggruppando
tutte le attività in tre gruppi ognuno collegato da un unico ente trainante ed
intuisco subito la presenza di un burattinaio invisibile che muove i fili di
tutto.
È ancora presto per le idee, conosco
per somme linee questi nuovi clienti ma capisco subito che non sarà un lavoro
facile e la cosa è divertente.
Dalla sala arriva il rumore di
vetri infranti e legno spezzato, la metafora ha rotto l’uovo e sta venendo
fuori, il grassone trattenuto dagli stipiti stretti del balcone con le braghe
calate e mezzo metro di cazzo in mano sta pisciando sulla strada, dal culo un
ininterrotto concerto di scoregge, da sotto si sentono le urla dei passanti che
protestano inferociti tra le strombazzate dei clacson.
Per essere il padrone del mondo
ha modi decisamente raffinati. Sono passate quattro ore e non sono ancora
venuti a prenderlo, che fare?
Finito di pisciare si ricompone
nella tuta e si volta a guardarmi con occhi feroci, batte uno zampone a terra e
dice, con voce fessa: “Ho fame.”
Mentalmente calcolo le
probabilità, i casi che appaiono sono due, o scappo lasciando la casa in sua
balia e vada come vada o rimango e sto al gioco, propendo per la seconda
soluzione e vada come vada comunque.
Con voce gentile dico: “Il frigo
lo hai svuotato e in casa non ho nulla, adesso telefono e faccio portare
qualcosa, ce la fai ad aspettare?”
Quello, come se non avessi detto
nulla, risponde a voce alta ed i pugni protesi: “Ho fame, o mi dai da mangiare
o ti faccio a pezzi!”
Altre probabilità che non avevo
calcolato. Provo a rabbonirlo: “Tra un po’ verranno a prenderti e ti daranno
tutto quello che vuoi, se mangi ingrosserai ancora e non uscirai più dalla
porta.”
La risposta non lascia dubbi, con
un pugno distrugge il tavolo e scaraventa i pezzi contro il muro. “Ho fame!”
grida, tremando di furia.”
“Ok, mi hai convinto.”
Prendo il telefono e chiamo la
rosticceria sotto casa, ordino tutto quello che hanno senza distinzioni
implorandoli di far presto e di portare subito qualcosa.”
Il grassone a quelle parole si
calma e si va ad accovacciare sul pavimento vicino alla porta come un cane in attesa del padrone.
“Le quattro del pomeriggio di una
giornata qualsiasi, il giorno è compreso tra due limiti all’apparenza uguali, zero
e ventiquattro, come un file.”
Con questo pensiero che frulla in
un angolino della mente guardo il grassone abbuffarsi con le prime portate
della rosticceria, vassoi di galletti arrostiti, braciole, salsicce, pesci in
carpione, qualsiasi cosa sparisce in un batter d’occhio ingurgitata nel suo
stomaco. Ho la sensazione di essermi preso un bidone, sono passate cinque ore e
non sono ancora venuti a prenderlo, tra le probabilità vedo che se passerà
altro tempo presto avrà bisogno di cagare e dalla porta del bagno non può
passare e comunque il water riuscirebbe a contenere appena il suo ano.
Prevenire è meglio che curare, telefono ad un negozio di piscine e ne ordino
una gonfiabile implorandoli di fare presto a portarla.
Come nel bridge prima di giocare
bisogna aver chiare tutte le carte, il bidone è una probabilità in tal caso
perché me l’hanno lasciato? Non ho ancora abbastanza dati per calcolare il
seguito, il piccolo lo portava al guinzaglio ed il grassone si faceva condurre come
un agnellino, non deve essere cattivo, almeno se mangia.
Il proprietario della rosticceria
è venuto per farsi pagare, gli ho mollato sei bigliettoni da cinquecento, è
diventato leccoso assicurandomi che continuerà a rifornire senza sosta, almeno
così, se i soldi non sono buoni, lo verrò subito a sapere.
Arriva anche quello della piscina,
gliela faccio montare nella sala mentre il grassone è occupato a fare merenda.
Sistemate le cose, mentre
l’ospite si è appisolato torno nello studio. Il piccolo ha detto che avrei
trovato tutte le informazioni per contattarli ed intendo farlo subito.
Rovisto tra le carte senza
trovare niente a parte una lettera chiusa in una busta infilata nella piega
della copertina. Sulla lettera c’è un’annotazione: “Per saperne di più.” e
sotto un indirizzo internet: wwwcercailtesoro.com
Chiamo senza aspettare tempo. La
pagina di Google che si apre è zeppa di titoli, tra tutti ne spicca uno proprio
al centro coi bordi luccicanti:
“COME
STATE FIGLI DI CAGNA????!!!!!!?
Ho bisogno di una collana di diamanti da regalare alla mia fidanzata,
chi
ne ha una da vendere?”
Come facciano questi a trovare
sempre il posto centrale in prima pagina è una domanda che mi sono già posto
molte volte. Tra i sottotitoli del sito uno interessante dice:
Clicco ed appare un’immagine, si
vede la figura del Minotauro intento a sbranare un paio di ragazze ateniesi
dalle forme procaci mentre Teseo sopraggiunge a spada sguainata con un ragno
che lo segue sbavando un filo che si perde tra i meandri del labirinto.
Seguo il filo con il mouse e al
termine il cursore si apre a mano con l’indice puntato. Clicco ed appare una
pagina web completamente bianca.
Non ho tempo per continuare, nella
sala il grassone sta facendo rumore, come immaginavo lo trovo seduto sulla
piscina intento a cagare in tutta libertà.
Il padrone del mondo sembra non
sappia far altro che mangiare cagare e dormire, è venuta sera e nessuno si è
fatto vivo, ormai il bidone è certo ma sono in quello stato che pur di fronte
all’evidenza continuo a credere il contrario.
Nella sala carte, barattoli, vassoi
ripuliti a leccate, ossa rosicchiate dappertutto, nella piscina merda in
quantità, la puzza non parliamone, il padrone del mondo dorme beato russando e
scorreggiando tra i rutti.
L’intuizione proietta oltre ma
nel frattempo telefono ad un agenzia di pulizie. Dopo mezzora arrivano due
romene bellocce con l’occorrente, alla vista del grassone addormentato ed
all’odore della merda iniziano subito a protestare, do loro un bigliettone
dicendo di tenersi il resto e quelle, anche storcendo il naso, iniziano il
lavoro.
Il grassone si sveglia, le vede e
ridendo come un pazzo si alza con un’agilità sorprendente ed inizia a
rincorrerle per la stanza. Le due avevano lasciato la posta aperta per l’odore
e scappano nel corridoio iniziando subito ad urlare nella loro lingua.
Il padrone del mondo, incastrato
nella porta stretta col cazzo duro in mano si masturba sbavando verso di loro.
Passando da una porta secondaria
le raggiungo implorandole di non gridare, tiro fuori altri cinquecento euro e
quelle si calmano.
Una chiede se sono pazzo a tenere
in casa un tipo simile, rispondo che è una caso eccezionale, che me lo hanno lasciato
in custodia e non so come fare per liberarmene.
Lei continua. ”Noi abbiamo capito,
abbiamo esperienza, sappiamo di altri che è capitato così, per questa volta non
chiamare polizia. Noi non possiamo fare il lavoro ma se lei cerca qualcuno che
lo possa fare la consigliamo di rivolgersi alle suore carmelitane, loro sono
specializzate di casi simili e sanno come trattarli.”
Detto questo se ne vanno
rabbonite, le ascolto zampettare giù per le scale e rientro in casa.
Il padrone del mondo ha sborrato
sul pavimento ed ora, in preda ai furori, sta ballando nella piscina pigiando
la merda come uva e schizzandola da tutte le parti.
Ormai non mi sbalordisco più e
vedo chiaramente che i rimedi vanno rapportati al bisogno. Ancora convinto che
da un momento all’altro verranno a prenderlo mi precipito al telefono e chiamo
il primo convento di carmelitane che trovo sulla guida.
Risponde una voce gracchiante che
dice: ”Viva Gesù, chi parla?”
Cercando di mantenere il
controllo dico: “Ho un problema, devo accudire un malato, si tratta di una caso
disperato ma fortunatamente è solo per poche ore, mi hanno detto che voi
fornite assistenza e vorrei usufruire dei vostri servizi.”
“Che Gesù la benedica, noi siamo
qui per aiutare, mi fornisca nome e domicilio.”
Le fornisco tutto quello che
vuole aggiungendo che si tratta di un omone grande e grosso, oltre tutto
padrone del mondo e di non sapere altro di lui.
Il telefono rimane silenzioso per
un minuto buono poi riprende a parlare: “Sì…abbiamo capito, aspettavamo la sua
chiamata…per questa sera comunque non si può far nulla, le manderemo qualcuno
domattina presto. La nastra tariffa per un giorno è di cinquecento euro, se la
cosa continuerà stipuleremo un contratto.”
“Come desidera.”
Mentre torno nella sala rumino
mentalmente quel: “aspettavamo la sua chiamata…” che avrà voluto dire?
Il grassone si è calmato. Con la
tuta lacera e tutto imbrattato di merda sta tranquillamente pisciando dal
balcone. Finito si volta e mi guarda con aria vergognosa. Ne approfitto per dire: “Guarda che casino hai combinato, adesso
cosa facciamo?”
Lui cerca di scrollarsi la merda
di dosso con le mani e risponde: “Non lo so, sono cazzi tuoi.”
“Ti comportavi così anche prima?”
Il padrone del mondo solleva la
testa e la sua espressione diventa truce: “Prima quando? Non fare il furbo con
me, non sono scemo. È rimasto qualcosa da mangiare?…mi è venuta fame.”
“Dovrai aspettare domani, la
rosticceria ha chiuso.”
“Ho fame, se non mi dai da
mangiare io…”
In quel momento mi accorgo della
sua forma vagamente ovale, a sacco, uno stomaco vivente, l’ingordigia, i
sinonimi si srotolano come probabilità ed intanto vedo chiaramente che sta per
infuriarsi.
Prevenendo la mossa mi precipito
al telefono e chiamo il rosticciere a casa. Marcando le parole chiedo: “Avete
più niente da portare?”
“No, il negozio è vuoto, domani
riprenderemo.”
“Posso fare un’ordinazione a
parte?”
“Dica.”
“Vorrei un bue, intero, possibilmente
arrostito e condito, imbottitelo con maialini di latte, almeno una decina e che
siano ben cotti, pago quello che volete.”
Il telefono rimane silenzioso per
un minuto buono e riprende: “Si può fare, chiamo subito il macellaio, ma non
prima di domani a mezzogiorno.”
“In tal caso non dimentichi di
fornire la colazione.”
Chiudo la comunicazione. Il
padrone del mondo adesso ha un’aria serafica e mi guarda con simpatia. ”Un bue
intero coi maialini…chissà che buono, domani…perché non subito?”
“Oltre a mangiare non c’è altro
che ti interessi? Potremmo farlo nell’attesa.”
Lui storce gli occhi per pensare
e risponde: “Mi piacciono le storie, le favole, raccontamene una.”
Favole ne conosco tante, quale
vuoi sentire, Cappuccetto rosso, Biancaneve?”
“Cosa sono queste cazzate?…no, a
me piace…loro mi raccontavano sempre…che so? Quella dei leoni che mangiano i
cristiani o gli ebrei bruciati nei forni o…a me piace…”
Con le mani gesticola verso
l’escalation, intanto la metafora mette gli artigli e vola alle parole fin quando
il padrone del mondo si addormenta.
In un manicomio la pazzia è l’in
sé di ogni matto, all’apparenza sembrano uno diverso dall’altro ma dentro sono
tutti uguali. Si può dire che la pazzia in sé non è il pazzo che la contiene
così come in elettronica il software non è l’hardware.
Tante parole e non mi sono ancora
presentato. Sono il personaggio di una storia, la proiezione dell’autore che
sta scrivendo e posso vivere solo sulla carta oppure sullo schermo di un
computer con la forma di parole.
Naturalmente, questo l’autore ci
tiene a precisarlo, non sono l’autore, lui è in carne ed ossa mentre io…non è
facile descrivermi, dopo tanti anni e tanti libri potrei essere chiunque e
nessuno, l’autore ha la capacità di darmi vita, un grande talento, è un corpo
animale, dentro ha muscoli, sangue, budella mentre io ho parole, non esisto nella
realtà, posso solo venire immaginato da chi mi scrive e da chi mi legge, il mio
corpo è sogno.
L’autore non è il sogno come
l’hardware non è il software, filosofia spicciola, comunque abbiamo stabilito
con logica rigorosa che sono parole e
tanto ci basti.
Il mio comportamento è naturale, sono
libero e posso fare quello che mi pare.
Per logica quello che mi pare è
determinato dalle possibilità che la storia produce, la causa e l’effetto, le
parole danno forma ad un immagine sogno che si muove tra altre immagini sogno
che lo delimitano, se le immagini sono tante lo spazio è stretto ed il
comportamento conseguente, effetto e naturalmente lo spazio non è il tempo così
come l’effetto non è la causa e la filosofia non è l’autore.
Libero da ogni catena che mi
possa legare all’autore che scrive, il mio è un mondo a sé, un universo di
parole delimitato dalla creatività.
Questo come introduzione al
capitolo successivo.
Il cerchio delle streghe.
Il socio computer apre di uno
quadri, nel sistema licitativo che usiamo significa che in mano ha più di
quindici punti con un asso quinto ed onori
in ogni seme, ovest passa, in mano ho un asso quarto a cuori, re donna e
dieci a fiori, donna quinta a picche e l’asso solo a quadri, partita
interessante, dichiaro due picche ed a sinistra est a sorpresa dichiara tre
picche. Sono sbalordito, come può essere? Gli avversari in mano devono avere al
massimo cinque punti ed il computer, è questo il bello delle macchine, non
sbaglia mai…forse un virus oppure uno di quei famigerati hacker si è collegato furtivamente nel gioco
proprio adesso che stavo pregustando uno slam.
Il socio dice quattro picche
indicando dove ha il palo, ovest passa, dichiaro automaticamente cinque picche
ed est senza esitare ne dichiara sei.
Un virus, è in tilt, possibile?
Il socio passa, che sia d’accordo? Ovest anche, non posso lasciargli il
contratto, dico sei senza ed al sette picche di est ribatto con sette senza
subito contrato da est.
Inizia la partita e est come
prima carta gioca l’asso di picche lasciandomi con un palmo di naso. Il socio
scopre le carte da morto, diciannove punti, est in mano aveva solo quell’asso, farmi
giocare così, certe volte Windows si comporta in modo sorprendente, sembra
quasi avere un’anima “ex machina“. Potrebbe essere stata una svista del
programmatore, un’istruzione sbagliata, in ogni caso ormai la partita è persa, inutile
giocare. Spengo il computer e mi affaccio alla finestra. È notte, la città
dorme accompagnando il russare del padrone del mondo, pensieri volano nell’aria,
la storia inizia ad ingranare, il grassone, la rosticceria, la suora, Windows, la
pubblicità…
Non ho sonno, provo a
scartabellare le carte lasciate dai due con un tarlo che rode, che sia stata
tutta una scusa per rifilarmi il bidone? Lasciarmi in mano il padrone del mondo
così, se l’hanno fatto dovevano avere un motivo, quale?…la probabilità appare
subito chiara, solo oggi ho speso cinquemila euro, forse devono sapere che i
soldi presto finiranno e lo hanno lasciato per poi tornare a riprenderlo a
crisi finita dicendogli: “Ecco! Lo vedi cosa ti succede senza di noi?”
“Parole, solo parole, che altro
c’è?” non sono in vena di creare, la pubblicità è un’arte e l’arte deve uscire
spontanea altrimenti sarebbero capaci tutti. Riaccendo il computer, entro in
internet e torno alla pagina bianca.
Apro f12 per analizzarla con quel poco che so
dell’html, nulla, non appare nessuna informazione. Spengo ogni pensiero e mi
concentro sul problema.
Il potere agisce sulla causa
senza dare ordini, le probabilità che offre sono sempre due: “o così o crepare”
e l’effetto è conseguenza naturale della scelta. Quei due avevano in mano il
padrone del mondo e me lo hanno lasciato proponendomi un lavoro per risollevare
le proprie immagini e le informazioni che danno terminano con una pagina web
bianca. Una burla o c’è qualcosa sotto? Sotto…potrebbe esserci qualcosa sotto
la pagina, non so come ma gli esperti del computer sono maghi in queste cose e
la cosa è possibile. Una facciata da scoprire dunque in un sito intitolato alla
caccia al tesoro.
Come presupposto è certo che non
posso liberarmi del bidone, lui è ovunque e non lo permetterebbe, l’unico
scampo è stare al gioco ed affidarmi alla spontaneità, sono un personaggio che
vive sullo schermo di un computer, che rischi posso correre? male che vada
morirò ed a questo punto non è il male maggiore.
Salvo una copia della pagina web
sul computer e mi disconnetto a internet poi rimango in silenzio a guardarla e
nel frattempo l’intuizione si mette in moto e tra le rotelle che girano inizio
ad intravvedere un piano diabolico per mettere nel loro sacco tutti i
pesciolini…
La ragione pura permette mediante
il sillogismo di penetrare nei segreti di qualsiasi scienza ma solo a livello
teorico, checcazzo…ideale.
Che cosa sei pagina web?…ogni
giorno è uno spazio compreso in ventiquattro ore ed ogni spazio in sé è
tempo cioè limite del giorno prima e del
giorno dopo. Lo stesso vale per i secondi, i minuti, le ore, i mesi, gli anni, i
millenni, tutti spazi con il tempo in sé.
La pagina appare bianca perchè
ieri e domani non si possono vedere, o sono passati o devono venire, quindi
oggi, quel che è, sta prima o sta dopo, quel
che si vede è l’in sé, un limite di tempo, ieri o domani?.
Non possono aver cancellato
l’oggi, se il limite è zoomato per farlo apparire spazio al contrario ci deve
essere un puntino da qualche parte, oggi, zoomato nell‘infinitamente piccolo
che è fatto apparire limite, bisogna trovarlo.
Attivo la lente per ingrandire la
pagina, nulla…potrebbe essere ovunque, forse nascosto tra le icone o i bordi o
chissà…
La sfida è affascinante, intanto
passano i minuti, le ore, la notte scorre sotto i ponti delle stelle, devo
essermi appisolato sul tavolo quando suonano alla porta svegliandomi di
soprassalto. Sono le sei del mattino, deve essere la suora, andiamo a vedere.
Contra punctum
“Perdonatemi…quella notte nella
giungla nessuno dormiva, il disastro era nell’aria, s’immagini un paese dove si
sa che da un momento all’altro pioveranno addosso miliardi e miliardi di
sterline, tutti gli squattrinati erano corsi al confine, la giungla risuonava
delle grida degli uccelli che spingevano e radunavano i cercatori per la
battaglia, i tam tam risuonavano all’impazzata, anche il cielo era scosso da
lampi riflettendo le nostre manovre.
Nel sottosuolo ogni attività era
paralizzata, il flusso dei rifornimenti si era interrotto e tutti quelli che se
lo potevano permettere scappavano cercando di salire in superficie, compresi
molti prigionieri. Le caverne sotto le piramidi erano nel caos e nessuno più
pensava agli accoppiamenti. Solo le mummie dominanti a guardia dei depositi di
cibo e delle cantine mantenevano il loro posto. La banda dell’arlecchino che
era giunta prima che scoppiasse la tempesta aveva fatto gruppo compatto ed
erano indecisi se tornare indietro o rimanere per finire il lavoro, lo stesso
arlecchino al centro si trovava in difficoltà senza di loro non avendo
strumenti per controllare la situazione ed il villaggio in subbuglio si stava
svuotando caoticamente per correre ai confini.”
“Ci pare del tutto naturale
calcolando il pericolo che stavate correndo.”
Le parole ci erano uscite di bocca
automaticamente, avevamo capito le regole della società preumana, esse vivevano
ancora scorrendo nel nostro sangue e la storia che Esopo raccontava seguiva il
tracciato di probabilità che si potevano facilmente calcolare.
“Perdonatemi…se lo dice lei, non
capisco.”
“La tribù stava per essere invasa
e si preparava a difendersi, come andò a finire?”
“Questo lo si seppe poi, perdonatemi…adesso…dove
eravamo rimasti?…l’uccello era nel nido con le fate, si fece spogliare del
budello e leccare tutta la merda fin quando fu bello lustro poi ne afferrò una,
la addentò alla gola e si riempì del suo sangue
mentre l’altra fuggiva strillando quindi uscì all’aperto.
Io, il cavallo ed il resto della
banda, in allarme per la confusione che
regnava al villaggio, eravamo ben svegli e ci eravamo radunati sotto il suo
albero, eravamo tutti mossi da fili invisibili che assecondavano la sua
volontà.
Quando lo vedemmo…perdonatemi, era
nudo, cioè…non aveva il budello, il suo piumaggio arlecchino ci lasciò
sbalorditi e ci terrorizzò, pensammo che il capo del villaggio avesse preso il
suo posto e nello stesso tempo temevamo che si incendiasse, lui scese con una
liana direttamente sulle spalle del cavallo che riconobbe immediatamente i suoi
modi togliendoci ogni dubbio poi con il becco lo artigliò a sangue spingendolo
al galoppo verso la piramide del nostro villaggio e nella corsa, come temevamo,
prese fuoco appiccandolo subito alle salsicce appese agli alberi che erano
facilmente infiammabili. Il fuoco, alimentato dal vento si propagò veloce ed in
breve tutto il villaggio ardeva minacciando la giungla vicina e nessuno poteva
fare niente perché in quel momento era semideserto.
Il cavallo aveva preso fuoco con
lui, noi continuavamo a seguirlo, arrivati alla piramide entrammo senza fermarci.”
“Calma, era lui che bruciava, è
passato, sembra che deliri.”
“È vero, perdonatemi…è passato
tanto tempo, ricordare queste cose, io, adesso…la banda dell’arlecchino era
radunata all’ingresso in sua attesa, per confondersi con gli altri uccelli in
attesa dell’accoppiamento si erano sbudellati ed il loro piumaggio per la
vicinanza dell’alba era quasi asciutto, lui piombò in mezzo a loro come una
valanga di fuoco, la banda non se lo aspettava e si incendiarono tutti.
Era il caos, ognuno correva per
conto suo cercando scampo alle fiamme, qualcuno riusciva a spegnersi rotolando
nella fanghiglia del pavimento, altri si afflosciavano su se stessi uccisi dal
calore.
Noi eravamo completamente
disorientati, lui nella confusione lo avevamo perso di vista, ci gettammo tutti
sul cavallo per spegnerlo ma quando ci rialzammo ci accorgemmo che era morto.”
“Forse, lo credeste!” esclamò una
voce dietro di noi che ci fece sussultare. Era il rabbino, staccò subito una
zecca da Esopo mangiandosela di gusto e intanto rideva sguaiatamente.
La galleria si era ristretta ed
in quel punto iniziava a salire, lo spazio tra le nicchie alle pareti si era
allungato e le fosforescenze emanate dai fossili si spargevano fievoli in
avanti ondeggiando all’aria mossa dai nostri passi. Dietro era il buio totale, un
muro di tenebra e da quell’oscurità era apparso il rabbino seguito dalle forme
invisibili dei morti che il racconto di Esopo aveva risvegliato. La sua figura
era diventata possente e l’ombra che proiettava sembrava un prolungamento di
quel passato risorto, una parte dell’oscurità, si ricompose e divenne
gravemente serio. Disse: “Siamo giunti al gran finale, da qui la storia
continua nel sottosuolo della specie, l’inferno dei dannati, la e non potevo
mancare. Ti è piaciuto il racconto di Esopo?”
Per risposta staccammo con
delicatezza una zecca dalla testa del servo e la facemmo scoppiare tra i denti
leccandoci il sangue dalle labbra con interessato piacere.
Il rabbino annuì con un
sorrisetto ironico: “Sei cresciuto in questo tempo, sembri un altro da quando
ci incontrammo la prima volta.”
“Stai alludendo a Omer ed alla
statua di Ixo? Che fine ha fatto? Era corsa davanti a noi, ci sta forse
aspettando o ci segue giocando a nascondino come te? Un sogno, è tutto un sogno,
un delirio. Il libro di Giza era la porta di questo sogno, ci siamo fatti
trascinare dalla passione per la verità, la ricerca ma non abbiamo dimenticato
la realtà e la ragione scorre ancora in noi. La storia che abbiamo ascoltato
finora parla chiaro, l’allusione è evidente, l’uccello tigre è il nostro corpo,
la ragione lo domina ma lui scorre nel nostro sangue e nel nostro istinto
salendo in superficie per sbranare le Ixo sprovvedute e poi dannarsi per la sua
natura feroce, una doppia personalità, la ragione e la natura, naturalmente tu
devi aver previsto tutto, conosci cose che ancora ignoriamo e ci stai
conducendo in un gioco che forse ci perderà ma a noi piace il rischio ed
all’occorrenza sappiamo anche sbranare da tigre.”
Il rabbino annuì indifferente
come se le nostre parole non contassero nulla e disse:
“La strada può essere breve
oppure interminabile, la natura si ripete ad ogni livello e la ragione non fa
eccezione perché è l’anima della natura.”
“Ti sbagli, la ragione non è la
natura, è una regola, essa può essere stabilita a priori e determinare il
comportamento in base alle norme che devono essere accettate per legge, la tua
ragione è fatta di morti che convivono nei vivi, la nostra invece è viva e
rinasce ogni giorno a nuove scoperte.”
“Tu parli da uomo dotto che
aborre i preti per antonomasia e non vedi la necessità che muove i fili della
storia, Dio ha tracciato il destino di ognuno di noi e se così ha voluto avrà
avuto i suoi motivi.”
“Di quale Dio stai parlando, a
noi sembra che tutto si muova seguendo una logica di causa ed effetto.”
“Certo, la penna di Dio scrive su
un foglio di carne viva e non si cura delle parole, essa dipinge il creato e
per noi miseri mortali è gioco forza assecondarla.”
Quello che diceva poteva essere
vero ma alle nostre orecchie stonava comunque, era la parola “dio” che stonava,
un nome senza forma a cui bisognava credere per fede e che come risultato
arrogava il potere nelle mani di chi
pretendeva di parlare per lui.
Il rabbino lesse nei nostri
pensieri e disse: “Il sapiente non si stupisce se un cane abbaia.”
La frase era sibillina ma a noi
piacque, era solo un’intuizione, spaziava sulla necessità della storia e poteva
essere ragionevole, non eravamo nella condizione di scegliere, la nostra vita
era appesa ad un filo ed i brani sanguinanti di Ixo ci consigliavano di non
trarre conclusioni e lasciar scorrere il racconto così come veniva.
Esopo si era rannicchiato su se
stesso ascoltando i nostri discorsi, tutto ad un tratto sollevò la testa e
disse: “Perdonatemi, conosco la favola di uno che per salvare il cavolo dalla
capra, la capra dal lupo ed il lupo dalla fame finì sbranato dal lupo, io sono
solo un servo e non ho voce ma perdonatemi…se stiamo qui, tutti questi
morti…forse camminando, adesso che facciamo?”
Il rabbino rispose: “Proseguiamo,
tu continua a raccontare, ora la storia si fa interessante ed anche se la
conosco già è sempre un piacere ascoltarla.”
Riprendemmo il percorso, il
rabbino ci seguiva curvo con la testa nascosta nel cappuccio, il suo occhio
lampeggiava, ad ogni passo batteva il bastone a terra, sembrava il lento
rullare che accompagna i condannati a morte al patibolo.
La sua apparizione aveva rotto
l’intimità che si era creata tra noi ed Esopo, cercammo di non pensare, rabbino
era l’abito, sotto era solo un povero vecchio piegato dagli anni, quanti?…per
un attimo ci tornò alla mente la figura dell’ebreo errante, il golem dell’eden
plasmato dalla terra era un involucro che conteneva una parola, la parola di
dio, un sogno incarnato che si trascinava dal passato condannato
all’immortalità, una leggenda, anche le leggende si trascinavano nel tempo di
parola in parola, di generazione in generazione…
La ragione ci sosteneva ma la
superstizione tramandata rodeva nel nostro animo.
Esopo disse: “Adesso, perdonatemi…sono
confuso, stavo raccontando è vero? Non ricordo più, è passato tanto tempo, ora…”
Anche lui si sentiva oppresso
dalla figura del prete, il suo padrone, era tornato servo e guardava a terra, le
zecche che lo ricoprivano vibravano tutte e pulsavano gonfie del suo sangue.
Per rincuorarlo ne staccammo una e ce la facemmo scoppiare in bocca con le
dita.
Esopo si scrollò e riprese: “Perdonatemi,
in quei momenti tutto avveniva così velocemente che non si aveva il tempo di
riflettere, la banda dell’arlecchino fuggendo aveva attaccato il fuoco agli
altri uccelli ed alle femmine in attesa dell’accoppiamento che a loro volta lo
attaccavano ad altri, l’incendio si allargava e divampava ovunque furioso, anche
le celle delle femmine gravide e le
pelli stese nella zona della concia stavano ardendo e molti fuggendo dalle
gallerie lo stavano portando all’esterno. Perdonatemi…il fuoco faceva parte di
noi ma fuori dai limiti che lo contenevano era il nostro peggiore nemico.
Quando l’incendio si appiccò la nostra banda era ancora all’esterno ed erano
tutti imbudellati, rimanemmo impassibili a guardare lo spettacolo, che altro
potevamo fare? Per ingannare l’attesa spellammo qualcuno dei morti dell’altro
arlecchino e ce lo mangiammo. Sapevano di bruciato ma a quei tempi era
un’alternativa culinaria molto apprezzata. La caverna l’ha vista, anche quel
che succedeva, dall’uscita delle gallerie che comunicavano con i circuiti
sotterranei si sentiva il ruggito del fuoco allontanarsi fin quando tornò il
silenzio. Il fuoco si era spento, la banda si sparpagliò a rovistare tra i
morti, erano agitati, senza guida, un corpo decapitatato che si smembrava, sembravano
impazziti.
Io, perdonatemi…loro, sono loro, le zecche che
nei momenti più difficili mi danno la forza di continuare…riuscì a mantenere il
controllo, pensavo solo al mio uccello, non poteva essere morto, dovevo
trovarlo.
Mi allontanai silenzioso e mi
affidai all’istinto. Sotto la caverna principale c’erano tante grotte scavate
nella roccia che venivano usate come deposito per mantenere fresco il cibo.
Questo naturalmente era vivo, prigionieri conservati ed adattati alle più
svariate, come si direbbe oggi, specialità culinarie. Queste caverne
comunicavano tutte tra loro ma avevano solo tre accessi con la caverna
principale, due strette aperture ed un pozzo
da cui venivano issate le ordinazioni con una specie di montacarichi
azionato da mummie di servizio e gettati i prigionieri per essere cucinati. Le
porte venivano tenute chiuse ed erano strette. Tutta questa zona era stata
risparmiata dal fuoco. All’interno, ad accudire il cibo, c’erano numerose
femmine, erano tutte…come dire, la parola…”
Da dietro il rabbino lo
interruppe dicendo: “Sfigate! Erano tutte sfigate.” e sogghignò divertito.
“Perdonatemi…sì, è così, erano
femmine dominanti o minori del loro seguito che avevano subito l’amputazione
dei genitali per un accoppiamento sbagliato, avevano perso le piume e si
mummificavano con le pelli che estraevano ai prigionieri in loro custodia, a
seconda della specializzazione ce n’erano di bianche e di nere. Oltre alle
bende che le fasciavano si coprivano con larghe strisce di pelle, delle pezze
che si legavano alla testa con nodi simili a creste di drago lasciando scoperti
solo gli occhi ed una cavità per mangiare. Le feci si spalmavano sotto le bende
e le proteggevano dal freddo delle cantine. Questi abiti naturalmente erano
vivi e vivevano in simbiosi con loro come avveniva per il piumaggio degli
uccelli. Le sfigate si rifugiavano nei sotterranei subito dopo l’amputazione
per non uscirne mai più.
Il rabbino da dietro lo incitò:
“Digli dei prigionieri, racconta tutto.”
“Sì, perdonatemi…il nostro mondo
era…adesso si direbbe, ma allora…”
“Abbiamo capito!” esclamammo:
“Eravate raffinati buongustai.”
“Se lo dice lei, forse è così…in
effetti poi chi può dire?…ce n’erano spellati vivi con coltivazioni di vermi di
specie diversa ottenute da mosche e altri insetti che le femmine allevavano, erano
specializzate, le incapsulavano nella carne fino alla deposizione delle uova, era
una specialità molto apprezzata, altri…perdonatemi, ne abbiamo già parlato, sacche
di sangue, tumori, grasso, otri di pus, questi venivano fatti fermentare e poi
usati come salsa, i gusti variavano dal dolce al piccante per certe sostanze
che venivano somministrate ai prigionieri, un’arte, era un arte!”
La storia ormai non ci
sorprendeva più, la metafora spaziava nelle probabilità tramandate dal
linguaggio e la logica seguiva un cammino parallelo che manteneva il filo del
discorso. Conoscevamo già la risposta ma per saggiare l’idea dicemmo: “Doveva
essere una vita orribile quella dei prigionieri.”
Il rabbino rise facendo
echeggiare i singulti nell’oscurità della galleria ed Esopo continuò: “Lei
dice?…perdonatemi…forse, certo non era piacevole ma, come dire…il nostro mondo
era…essere mangiati faceva parte delle usanze, era una pratica diffusa, una
specie di abitudine a cui ci si assoggettava naturalmente, i prigionieri delle
cantine si davano importanza per non essere mangiati subito ed essere
considerati specialità, perdonatemi…io queste cose le ho sentite dire, ne vidi
qualcuno dopo, come le racconterò, erano orgogliosi, tronfi del loro destino.
L’intuizione pullulava di domande
in attesa di risposte da elaborare, le probabilità procedevano come lampi nella
tempesta ed abbagliavano alle parole di Esopo.
Dicemmo: “Dovevate avere una
pelle straordinaria per sopportare simili abiti.”
Il rabbino rise e continuò: “Tu
sei sapiente, vedi le probabilità e le sai calcolare alla perfezione, che
aspetti a tirarla fuori?”
Eravamo esitanti, la verità
sembrava paradossale eppure non poteva essere altra.
“Eravate rettili, ” esclamammo “come
i dinosauri!”
“Rettili è un termine generico
coniato per il comodo di chi non ha interesse a rispolverare quel passato, la
specie preumana partoriva ed allattava i neonati come i mammiferi, solo la
pelle si differenziava dall’attuale, era dura, squamosa come quella di grosse
lucertole.”
Il rabbino parlava seriamente, le
probabilità si aprivano a nuove rivelazioni: “L’abito era necessario, in questo
modo si formò la pelle umana.”
Esopo continuò: “Perdonatemi…adesso
penserà che…anche i dinosauri non erano rettili eppure…quel che si crede, è
passato tanto tempo.”
Eravamo sconcertati, vedevamo il
disegno, il progetto dell’umanità e questo progetto non poteva essere casuale.”
Il rabbino ci leggeva nella mente
o forse anche lui seguiva il filo del nostro ragionamento. Disse: “Vedi la mano
di Dio, la sua volontà.”
Le probabilità si scontravano
contro un muro che le parole del rabbino sfondavano solo in apparenza.
Ribattemmo: “Dio, un nome di comodo come i rettili, qualunque cosa sia
l’evoluzione cammina su un tappeto naturale dove ad ogni causa segue un
effetto. La prima causa che iniziò l’evoluzione, qualunque cosa fosse doveva
imporre una necessità, che ha a che fare tutto questo con il tuo dio?”
La risposta seguì la domanda come
il lampo il tuono, la vedemmo chiara spiccare il volo dal ginepraio delle
probabilità, l’evoluzione universale appariva come lo sforzo naturale dell’idea
“uomo” in cerca della sua realizzazione, la storia forniva gli esempi, un
cerchio che ruotava all’infinito diventando di generazione in generazione più
largo, un orologio naturale che segnava la morte e la rinascita di ogni civiltà
impostando l’effetto del primo secondo. La parola ci fece sorridere, primo
secondo era un paradosso, sembrava un piatto unico di due, intuimmo la presenza
di un potere latente ed all’apparenza invisibile che determinava la causa prima
di ogni civiltà e lo confrontammo con l’idea di Dio, qualunque cosa fosse che
progettò la causa prima dell’evoluzione dovette agire nello stesso modo. Non
avevamo ancora abbastanza elementi per calcolare il seguito ma intuivamo che
presto l’avremmo scoperto. Noi vivevamo in un sogno e chi sognava prima o poi
si sarebbe svegliato. In quel momento ogni nostro atomo era concentrato nella
ricerca, l’intuizione ci consigliava di essere prudenti, in qualche modo il
rabbino doveva rappresentare il potere occulto capace di impostare la causa
prima, anche l’idea di dio cercava la sua realizzazione secondo col primo nel
piatto naturale. Il progetto era evidente, se era una trappola non poteva non
essere stata prevista ed in ogni caso non avevamo scelta.
Esopo continuò a raccontare:
“Il giorno era sorto, la luce
filtrava dall’apertura in cima alla piramide offuscata dal fumo dell’incendio
che rendeva l’aria quasi irrespirabile. Le mie zecche erano infastidite e
pungevano tutte, avevo gli occhi irritati e l’odore di bruciato impediva di
procedere a fiuto.
L’incendio era passato, qua e là
si sollevavano corpi che avevano trovato scampo nel fango, uccelli e mummie
semibruciacchiati che brancolavano nel buio alla ricerca di quell’ordine che
non esisteva più. Perdonatemi…a quei tempi non ragionavo, vivevo, le cose mi
venivano naturali, frugai tra i morti senza trovarlo mentre l’istinto mi
guidava, arrivai al pozzo delle cucine e lo vidi, il piumaggio era bruciato, era
tutto annerito dal fumo ma lo riconobbi immediatamente.
Il pozzo aveva un diametro di
quattro metri ed era circondato da un muretto circolare alto un metro sopra il
quale pendevano le funi usate per sollevare i carichi. Lui era appoggiato al
muretto e guardava sotto.
Suonai subito la tromba chiamando
a raccolta la banda e mi precipitai verso il pozzo col cuore che rullava dalla
gioia di averlo trovato.
Appena mi vide lui mi strappò con
noncuranza una manciata di zecche e se le ficcò in bocca poi tornò a guardare
sotto. Mi affacciai al muretto e…perdonatemi, il nostro mondo era…adesso
penserà che…”
Il rabbino lo interruppe dicendo:
“Esopo si vergogna della verità, è un caso molto interessante.”
Noi eravamo presi dalla storia, eravamo
presenti immedesimandoci in ogni personaggio, intuivamo la logica che scorreva
sopra le parole ed eravamo tesi alla verità, come una sonda che frugava nelle
viscere di un cancro mortale. Il servo si era rattrappito alle parole del
rabbino, per rincuorarlo gli strappammo con noncuranza una manciata di zecche e
ce le ficcammo in bocca succhiandone il sangue con piacere. Lui si sollevò e
riprese a parlare.
“Perdonatemi…noi…è difficile da
tirare fuori, certe cose poi, sembra che… eppure…il pozzo era profondo una
decina di metri e sul fondo in attesa del cibo c’era un minitauro circondato da
un cerchio di sfigate, le sue guardiane, che aspettavano accovacciate.”
La notizia ci incuriosì. Dicemmo:
“Un minitauro? Alludi al Minotauro di Teseo?”
“Perdonatemi…chi è Teseo? Non so,
forse un’altra storia, questo era un tirannosauro nano, veniva preparato e
allevato dalle sfigate, era alto almeno sei metri, certi anche di più ed
estremamente grasso. Erano molto apprezzati nel nostro mondo, producevano un
cibo che era considerato una vera leccornia e costava carissimo, solo l’uccello
tigre, i più feroci della banda e certe femmine se lo potevano permettere. I
minitauri mangiavano in continuazione per via di…perdonatemi…erano animali
modificati…è passato tanto tempo e queste cose le so così…non ne avevo mai
visto uno e rimasi sbalordito.
Le sfigate li allevavano nei
sotterranei, appena nati li aprivano e tagliavano loro gli intestini
lasciandone solo due metri all’interno e un pezzo che veniva a sporgere
all’esterno sotto lo sterno come una corta proboscide.
Nel loro stomaco e nel tratto di
intestino interno venivano impiantati
dei vermi estremamente prolifici, anche questi sempre affamati, che si
riproducevano in continuazione mescolandosi alle feci del minitauro per poi
uscire dal tubo che sporgeva dal torace. Il breve tratto di intestino si
gonfiava occupando lo spazio di quello amputato e trasformava il cibo solo in
parte riempendolo di vermi…perdonatemi, la produzione era a getto continuo, dal
tubo usciva…come dire?…perdonatemi, sembravano spaghetti conditi con carne e
sangue, venivano serviti caldi, ancora
fumanti di gas gastrici.
Il minitauro mangiava in
continuazione, era sempre affamato, quando al mattino nella caverna superiore
si aprivano le danze era il primo a servirsi dei prigionieri che venivano
gettati nel pozzo, li sbranava vivi facendoli a pezzi con la sua forza immane e
subito iniziava a produrre gli spaghetti.
Il nostro, grazie all’abbondanza
di prede procurate dal mio uccello, era diventato estremamente grosso e pesante,
le sfigate gli somministravano sostanze ipnotiche per tenerlo tranquillo, non
lo si poteva legare ne murare, la sua forza era tale che avrebbe spezzato
qualsiasi catena.
In quel momento era agitato, protendeva
le braccia verso l’apertura del pozzo in attesa del cibo, anche le sfigate che
lo accerchiavano erano agitate, l’istinto le avvertiva che all’esterno doveva
essere successo un grave disastro e sapevano quel che sarebbe seguito. Il
labirinto dei sotterranei era la dispensa naturale dove si riforniva la specie
ad ogni inizio del ciclo.”
“Questa storia è una tua
invenzione o ci vuoi fare capire cose che non vogliamo capire?”
Il rabbino non si scompose e
rispose con una domanda: “Che importanza ha?”
Era quello che ci sarebbe
piaciuto sapere ma da esperti uomini di scienza sapevamo che la fretta era
cattiva consigliera. Esopo aspettò che i miei dubbi svanissero e riprese: “Il
mio uccello era affacciato al pozzo e stava parlando col minitauro…”
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