Capitolo 6. Piero. (the best.)






 
    
             Piero  (the best)               

 

Checcazzo! Chi ha detto che il parlare forbito di un cicisbeo sia lo standard a cui tutti devono attenersi, anche uno scrittore geniale, che ha a che fare questo con un cicisbeo ammaestrato? Tutto quel che credevo è andato a farsi fottere, Aristotele e Hegel solo burattini burattinai appesi all’amo per accalappiare gli intellettuali boccaloni? Un grande baraccone di attori, storia allo specchio, si ripete, le stesse parole, gli stessi fatti, sembra un automatismo naturale, tutto da rivedere, tutto da rifare.

Accendo un fiammifero e do fuoco ai libri che ho nello studio quindi mi risiedo al computer come uno zero assoluto. Un sogno, il personaggio di una storia qualsiasi.

Con logica, dall’inizio, un punto qualsiasi. La domanda è: perché Hegel non vede che il suo sillogismo è lo stesso che usava Aristotele?

La risposta probabile è una sola, lo ha ripetuto.

È la storia che si ripete, i furbacchioni che mi hanno rifilato il bidone sono più furbi di quel che pensassi, sono loro che hanno scritto la storia, un cumulo di menzogne ma bisogna calcolare che   l’in sé della menzogna è verità quindi uscire dal giudizio e guardare senza toccare.

Ci deve essere un nesso tra la distruzione di Atene che segue la cacciata di Aristotele con la distruzione di Firenze che segue le calate dei barbari e la distruzione di Dresda nella seconda guerra mondiale.

Se Hegel era un cabalista esoterico perchè innesta il sillogismo della ragione umana proprio in Germania?

Un progetto in vista di…un secolo prima, un piano diabolico ma chi è il diavolo?

La ragione umana espressa dai tedeschi viene demonizzata con Hitler e sostituita con una disputa degli universali, la guerra fredda tra il supersomaro americano ed il superbue russo.

Si tratta sempre di pedine.

Il protagonista principale di questa storia sono gli ebrei, la causa, la gabbia di matti nel girone dei nobili, il software che anima la mentalità sociale dell’umanità, il popolo cibo.

È come guidare una macchina, impostata la causa l’effetto è conseguente, campi di energia che si muovono all’interno di altri campi di energia come in un computer infettato da virus.

I pogrom che avvennero in Russia nel primo decennio del novecento e la rivoluzione poi è probabile che causarono la fuga di centinaia di miliaia di ebrei verso la Polonia e la Germania. La causa ha la forma di un effetto la cui causa è precedente nel tempo ma atteniamoci al filo.

A questo esodo segue l’inflazione in Germania, milioni di ebrei cambiarono i loro marchi risparmiati in dollari depositandoli alla Rothschild causando la crisi che portò al potere Hitler.

La storia che segue è nota, la demonizzazione della ragione espressa dalla Germania inverte il manicomio in ragione e gli ebrei pressati dai russi nel cannone tedesco vengono sparati in Israele dove, ripetendo la storia, hanno in massa cambiato i loro risparmi in dollari depositandoli alla Rothschild.

Se ora morissero tutti in un pogrom…fuori dal giudizio, ci sono società animali come ad esempio le formiche che muoiono tutte prima dell’inverno e rinascono in primavera da una regina sopravvissuta in un piccolo nucleo per un nuovo ciclo riproduttivo.

La legge di natura si ripete nelle società umane, potrebbe essere che il popolo ebreo inteso come specie abbia adottato questo sistema ed accetti di sacrificarsi ad ogni ciclo storico affidando a mamma Rothschild ogni sua cosa sapendo che poi questa lo farà rinascere nel solito manicomio. Lo stesso discorso vale per zingari, nobili e borghesi, trascendenze della ragione umana che non esistono in natura e non si possono rigenerare altrimenti.

Si tratta sempre di pedine.

I furbacchioni, a questo punto farei meglio a dire i superfurbacchioni,  seguono le orme di una storia prediluviana percorrendole al contrario, impostano la causa e si appoggiano sull’effetto condizionandone i movimenti, il come segue probabilità spietate ma qui entra in gioco l’effetto forma della causa prima, Piero e lui è imprevedibile.  

 

 

Clicco la caccia al tesoro ed apro la pagina web bianca. Una pagina vuota, ogni pagina che compone il web se le si togliesse quel che c’è stampato sarebbe identica a questa, una pagina vuota in sé di tutte le pagine. Centrato l’obiettivo passo al torneo di bridge on line. Il titolo spicca a caratteri cubitali su un grosso cartello a croce piantato in un cimitero zeppo di tombe:

             

                                  Bridge con il morto.                   


 

Un ponte con l’al di là, soci ed avversari da estrarre dalle tombe, macabro forse, bisognerebbe considerare i morti come i maiali che un abile norcino ha trasformato in salami, il pregiudizio nominale divide la ragione, porco dio o puttana madonna sono parole qualsiasi, ne bene ne male.

Premessa, lo standard intellettuale è professionalità pura, senza giudizio.

Il canone, il fuoco della ragione arde sul ponte della necessità dialettica, la figura degli intellettuali disposta su una scala musicale a dodici semitoni, il primo do uguale a zero, il do diesis cinquanta frequenze, il re cento e su di cinquanta in cinquanta fino al do, il primo dell’ottava successiva che ora suona. La prima scala può salire di ottava e crescere oppure tornare indietro e ripetersi al contrario. In questo caso gli accidenti,  le note che prima erano diesis cioè mezzo tono in più diventano bemolli, cioè mezzo tono in meno.

Il do = O della prima scala non è numero, non è nessuna delle note successive sia crescenti o decrescenti, è uno zero dialettico, semplicemente non è una nota della scala e come il do della ottava successiva può essere il do di un’altra scala che nel canone non appare ma si probabilizza esistente.

Ogni semitono non è il semitono prima e quello dopo, ognuno è diverso dall’altro ed ognuno, come la pagina web, è il do = 0 aumentato di tot frequenze. Ogni semitono è disposto sulla scala di do è riflette in sè la prima nota che dà il nome alla scala quindi a sua volta esprime una nuova scala, la scala di do diesis, quella di re, di re diesis ecc. La figura di dodici scale con in sé una nota sonante che ha in sé lo zero del primo do. Lo stesso avviene nella scala decrescente con la differenza che i diesis sono diventati bemolli, il diesis non è il bemolle, la forma del diesis è il bemolle. Il nome è parola, la forma corpo. Il nome è convenzionale e viene attribuito dalla ragione nominante, un cane è cane, un gatto è gatto ecc. La ragione è determinata dal peso statistico del più forte, se la maggioranza stabilisce che il gatto è cane un gatto è cane pur rimando gatto e questo dà luogo ad un sacco di equivoci.

Su questo schema è facile tracciare l’identikit dei concorrenti al torneo, gli intellettuali maggiori, ma prima bisogna fare una premessa. Ognuno è se stesso con in sé la stessa ragione, ognuno suona il suo strumento  con la stessa maestria ed ha un suo fiore all’occhiello che lo distingue ed ognuno non è la ragione che ha in sé, le forbici del canone tagliano ed i semitoni sono liberi.

Potrebbe essere una trappola, Hegel è un esempio, gli intellettuali sono attratti dalla ragione che hanno in sè, la ragione si esprime a parole e la parola non è il corpo che la pronuncia.

Chi capisce la libertà capisce, la ragione non è una merda dove i mosconi si calano, ognuno deve volare alto, da aquila.

La trappola è psicologica, la forma dell’in sé è comune, ognuno deve avere contrapposto la figura di un dottore o del figlio di un dottore idiota che crede di non essere e sviluppato un’ antitesi naturale a questo che è quello che  crede di essere. Quel che crediamo di essere non è il nostro essere è sarebbe un grave errore montare la ragione sul non essere.

Carpe diem diceva quel pacchista di Orazio poi predicava l’aura mediocritas, il mezzo non è mediocrità, tra gli estremi meno uno e più uno c’è lo zero.

Nulla, la ragione ed un lungo ululato alla luna dove si modulano gli altri lupi per modulare gli altri lupi.

Quel che si crede di non essere non è quello che si crede di essere, la forma di quel che non si crede è quel che si crede, quindi noi nel pensiero siamo quel che non crediamo di essere, un essere trascendente che non è quel che siamo veramente ma solo e comunque una credenza.

Quel che siamo veramente mangia e caga possibilmente tutti i giorni ed il resto è teatro. Qualsiasi pensiero non è.

La figura in antitesi è odiosa ma in realtà è quella che agisce nel comportamento in antitesi di bene e di male con se stessa.

Amare è capire, il giudizio a priori la rende odiosa, la figura non ha niente a che vedere con il corpo che ce l’ha trasmessa, è una proiezione di noi stessi e nient’altro.

Circondati perennemente da una compagnia di attori che recitavano, può sembrare un male, il male non è il bene, la forma del male è il bene, non è facile da accettare ma questo è il sistema e la prima legge politica è che l’opinione pubblica, la legge del più forte, va sempre assecondata, anche in un manicomio.

Segni sulla sabbia da intendere prima che il vento le cancelli…                                               

                   Traduttore automatico.

 

Nel computer inizia a delinearsi la figura del giocatore che mi farà da socio, si vede una schermata di New York che si tuffa in una palazzina del Bronks con un’ insegna di pompe funebri sul portone. All’interno, in un salone scuro tappezzato da drappi neri zeppo di bare di ogni foggia e dimensioni c’è un tipo seduto ad un tavolo che armeggia con il computer. Sul tavolo un’immagine incorniciata di De Niro nel cacciatore.

Sessant’anni ben portati, grassottello, occhi azzurri slavati dalla cocaina, ecc.…                          

“Quando comincia la partita?” chiede.

“Siamo alle dichiarazioni.”

“Bene…tu sei italiano…che schifo…i miei venivano dall’Irlanda, ora…voi in Europa ve la fate bene, qui c’è sempre da correre, per fortuna si muore tutti i giorni, gli affari prosperano, faccio un sacco di grana…mestiere di merda, ho imparato in Vietnam, dovevi esserci, c’era chi stava bene ma noi…ogni giorno l’inferno, è successo durante una missione, ci avevano circondati, mi sono buttato sul nemico ma qualcuno mi colpì e non capì più niente, erano tanti e gridavano, sono scappato, ebbene? Mi nascosi tra i rovi poi arrivarono i soccorsi e mi tirarono fuori, i miei compagni erano scomparsi, non si è più saputo niente…” Prende in mano il ritratto di De Niro e continua: “Ho sognato tante volte di tornare laggiù…dopo di allora non ne volli più sapere di combattere, mi destinarono al magazzino delle bare, ogni giorno ne scaricavano a centinaia… e adesso non so fare altro.”

A ovest si delinea un secondo personaggio, una panoramica di Dresda dentro un carcere modello per il recupero dei tossicodipendenti. In una cella c’è un tipo sui quarant’anni, biondo, belloccio, gli occhi azzurri slavati dal metadone. Mi guarda con cipiglio e dice: “Vorresti farmi credere che è stata tutta una messinscena e ci sono cascato come un’idiota?  Al liceo ero bravo in tedesco, scrivevo racconti e commedie, entrai in un gruppo di teatranti, tutti figli di ricchi borghesi che si drogavano e mi attaccarono il vizio. Mio padre lavorava alla Volkswagen, era semplice operaio, soldi non ne avevo e per procurarmi la roba iniziai a fare il loro galoppino e mi ritrovai a spacciare senza accorgermene…poi loro ereditarono, si misero a fare i borghesi e per me…mi hanno arrestato in casa del fornitore, hanno arrestato anche lui, mi ha dato del giuda…non sapevo niente, erano morti di overdose due miei clienti ed una ragazzina, non li vedevo da giorni ma la sorella di uno di loro mi aveva denunciato e non sono riuscito a confutare l’accusa, tutto era contro di me ed ora…”

Ad est prende forma il terzo attore, una visione del Fujiyama con un filo di fumo che sfuma tra nuvolette sbiadite senza sorriso, sulle pendici una casetta isolata vicina ad un piccolo paese. Dentro c’è un tipo sui sessant’anni ben portati, belloccio, gli occhi neri slavati dai farmaci, seduto ad un tavolo col computer con sopra un’ immagine di Mishima. Dice: “Ho capito perfettamente. Sono ingegnere nucleare, mi hanno fatto credere di essere il responsabile di quegli incidenti, il mio cognome è nel libro degli eta e la cosa ha messo in angoscia tutti gli altri. Da giovane ero un bravo scrittore ma il destino decise per me, ti assicuro che saprò volare alto.”

 

                                          L’ufficio. 


Alla porta di servizio appare un nuovo personaggio, un tipo alto, ben vestito sui quarant’anni, si presenta dicendo: “Sono il direttore della promozione della Mc Donald italiana, ho provato a telefonare ma il suo numero risponde sempre occupato e sono venuto di persona. Cerchiamo un abile pubblicitario a cui affidare la nostra prossima campagna, il lavoro che ha fatto al rosticciere ci è piaciuto molto, un effetto shock è proprio quello che vogliamo.”

Lo faccio entrare. Nell’antisala si apre una porta che avevo dimenticato da anni, dentro c’è il mio vecchio ufficio di pubblicità.

Ogni cosa sembra ancora al suo posto, la scrivania, la poltrona, le poltroncine per gli ospiti, il tavolo della segretaria ed il trenino che occupa quasi tutto lo spazio eccetto un corridoio che porta alla scrivania. Laghi, cascate, fiumicelli gorgoglianti, colline, paesini di cristallo colorato incastonati, fontane, strade, piccoli aeroporti e una linea ferroviaria ramificata tutto intorno comunicante con degli hangar alle pareti dove dentro i trenini sono sistemati gli oggetti ed i documenti da chiamare quando servono. Locomotive e vagoni di tutte le fogge e le epoche, un’idea abbandonata da rispolverare.

Il promoter entra ed esclama: “Che meraviglia! Non avevo mai visto una cosa così, quando ero bambino giocare col trenino era la mia passione, questa è un’opera d’arte, sono anni che ne voglio montare uno a casa ma non ho mai trovato il tempo, lei mi ha fatto tornare la voglia. Se permette, me lo fa guardare?”

“Faccia con comodo.” Dico sogghignando tra me pensando a quanti clienti avevo accalappiato con quel trenino.

Mentre il promoter passeggia nella favola spolvero le poltrone e quando torna lo invito ad accomodarsi.

“Desidera qualcosa da bere? Su una linea dovrei avere dell’ottimo champagne ancora dei tempi che si faceva con l’uva in un hangar frigorifero.”

Ha gli occhi incantati ed un sorriso serafico stampato sugli occhi. Si ricompone e dice: “Lei mi ha fatto tornare bambino…la ringrazio, dopo magari, se non le spiace prima vorrei trattare l’affare.”

“Come desidera, volete una pubblicità nazionale o sull’intero pianeta?”

“La direzione mi ha incaricato di una pubblicità nazionale, una prova, poi forse…”

In quel momento gli suona il telefonino.

“Mi scusi, ” dice, “sono proprio loro, abbiamo la linea diretta.”

Risponde alla chiamata, sgrana gli occhi dalla sorpresa e chiude la comunicazione. “Devono essere impazziti!” esclama, “adesso la vogliono su scala mondiale, dalle nostre informazioni risulta che si è ritirato da tempo, sarebbe in grado di farlo?”

“Certamente, la sede che avevo a Firenze è ancora attiva e saranno felici di collaborare. So che di questi tempi non se la passano molto bene.”

“D’accordo, quanto ci verrebbe a costare?”

“L’idea è pronta, le assicuro che farà colpo, prima mi deve garantire carta bianca per qualsiasi decisione che prenderò.”

“Questo non so…noi vorremmo…” il telefonino squilla nuovamente, risponde, risgrana gli occhi e  dice: “Va bene, ha carta bianca.”

“Lasci pure il telefono sul tavolo, dall’altra parte stanno ascoltando?”

“Sì, spero non le spiaccia.”

“È la tecnologia, perché non approfittarne, si evitano tante inutili perdite di tempo. Il prezzo…le posso fare due milioni di euro subito per le spese di cui uno in contanti in biglietti da dieci, venti e cinquanta ripartiti in parti uguali più altri due milioni se sarete soddisfatti oltre alle eventuali spese legali che lo strascico solleverà.”

“Ha le idee chiare, non le nascondo che trattare con lei fa venire i brividi, quello che chiede non è poco, per fare una pubblicità a livello mondiale occorre un’organizzazione capillare, lei…”

“Non si preoccupi, queste organizzazioni esistono già, tutto sta a saperle usare.”

Il telefonino torna a squillare, risponde, sgrana gli occhi e riprende:

“D’accordo, allora…per quando le servono i soldi?”

“Oggi è martedì, il tempo di organizzarci, facciamo per giovedì, se mi lascia un recapito le farò sapere dove consegnarli.”

“Va bene, adesso preparo il contratto.”

“Non c’è bisogno, basterà una stretta di mano.”

Rimaniamo qualche minuto a parlare dei particolari davanti ad una bottiglia di champagne, rifà il giro per guardare il trenino e se ne va dicendo: “Questa sera comincerò a costruirne uno anch’io, mi ha fatto venire una voglia…”

Rimasto solo telefono all’ufficio di Firenze. Risponde la voce sexy di una segreteria che mi passa il capo.”

“Ciao!” dice “Come va? E da tanto che non ti fai sentire, qual buon vento?”

“Avrei un lavoretto, c’è da beccare un milioncino, una cosa semplice, chi è rimasto dei vecchi?”

“E’ la manna, ne avevamo proprio bisogno, c’è Archimede, poi…abbiamo un grafico nuovo ma è in gamba e…”

“Per quel che occorre basta, il resto son sicuro che saprai cavartela, se prendi la macchina puoi essere qui nel pomeriggio e ti darò tutte le istruzioni.”

“Ok, come ai vecchi tempi, m’hai fatto tornare giovane, a presto.”

Non faccio in tempo a posare la cornetta che il telefono riprende a squillare, di questo passo dovrò rimontare tutta l’organizzazione, un altro trenino questa volta sul pianeta, dove finirà la mia amata libertà?”

Tutto sta a mettere le persone giuste al posto giusto, questo i pacchisti che mi hanno rifilato il bidone devono averlo previsto ma chissà se hanno previsto anche il resto…esco dallo studio senza rispondere ed entro in sala.

 

La televisione è accesa su un fattaccio di cronaca dove una banda di tossicomani ha trucidato per rapina una famiglia di piccoli borghesi con tre bambini. Si vedono scene strazianti con corpi riversi e sangue dappertutto mentre il cronista commenta con sferzanti parole d’indignazione contro i drogati.

Il padrone del mondo è seduto al tavolo su cui troneggia il torello arrostito con il ripieno sparso intorno. Sbocconcellando una coscia del toro che stringe tra le mani guarda ad occhi sgranati la televisione. La scena cambia, questa volta una giornalista con la voce vellutata descrive una corsia d’ospedale dove si vede un medico scherzare ed accarezzare dei bambini con gli occhioni penosi coricati sui lettini. Il bidone incurante riprende a mangiare a quattro ganasce.

In quel momento si apre la porta della cappella ed esce suor Teresa seguita da un prete azzimato in clergyman nero molto elegante con i capelli grigi sulle tempie  pettinati all’indietro ed un fazzolettino di seta bianco che sporge dal taschino della giacca. La suora ha il capo chino, intimorita e radiosa, passa senza guardarmi e va in cucina. Il prete sorride affabile, si avvicina al tavolo e stacca un cosciotto da una fagianella mangiandolo con le mani sotto lo sguardo irritato e sospettoso del bidone che non osa dir nulla poi posa l’osso, si lecca le dita, le pulisce con il fazzoletto  e esce  accompagnato dall’infermiera ossequiosa e sbalordita.

In cucina suor Teresa è seduta, lo sguardo perso in chissà quale sogno.

“Il suo confessore?” chiedo.

“Non proprio. È il padre superiore dei gesuiti di Torino, è passato a trovarmi e ne ho approfittato per chiedere consigli, i padri gesuiti sono molto sapienti e hanno a cuore la nostra anima.”

“L’ha perdonata?”

“Certo! Ora mi sento pura, leggera, potrei volare, lei non può capire quanto sia bello.”

“Sono contento per lei. Devo assolutamente trovare una segretaria fidata che risponda al telefono e sbrighi le pratiche ordinarie e non so dove cercarla.”

La suora alza la testa, si trattiene dall’esclamare: “Oh, a me piacerebbe!”, stringe il crocefisso alla catena con una mano, rimane qualche secondo a pensare e dice: “Le serve una professionista?”

“Assolutamente no, dev’essere oca, possibilmente carina e molto sexy, le pubbliche relazioni hanno un cerimoniale  sofisticato.”

“Voi uomini siete tutti uguali!” esclama la suora corrucciata, “Porci!”

“Non dica così, non mescolo mai gli affari coi sentimenti, è solo per lavoro. È forse gelosa?”

“Perché dovrei esserlo? Il mio sposo è il signore e lui non mi tradisce mai…se le interessa noi abbiamo un convitto scuola per ragazze orfane che vengono dall’estero, ce n’è una carina, insomma…è bellina ma è un caso difficile, è già stata in due posti e l’hanno cacciata, noi vorremmo sistemarla, forse qui con la mia vicinanza si comporterà bene, è russa, sa usare il computer e potrebbe esserle utile ma l’avverto, odia il lavoro, è sboccata e va spesso soggetta a crisi di nervi, se vuole posso interessarmi e farla venire.”     

        

                                                   L’orsa

 

La ragazza arriva nel primo pomeriggio. Suor Teresa  la prende in disparte e rimane qualche minuto a confabulare con lei.

In mano ho il certificato con le sue credenziali: Galina Smerdjakova, 19 anni, nata a LedKa, paesino nei sobborghi di Pietroburgo. Professione donna delle pulizie.

Il nome non è forma, senza badare ai significati apparenti calcolo la probabilità di un ponte russo, russe non ne ho mai conosciute e se è entrata nella storia ci deve essere un motivo. LedKa senza k è Leda, la gallina di Giove, Galina è il suo nome, Leda fece un uovo…anche questo macchiato? Inoltre Smerdjakov era uno dei fratelli Karamazov, che centri ancora quell’ubriacone di Dostoevskij?

Con ogni probabilità anche lui apparteneva ai cabalisti esoterici, la loro scoperta ha aperto una nuova strada, se copiavano libri già scritti in un’esistenza prediluviana dalle loro righe si possono trarre interessantissime informazioni, l’autore conosce la letteratura russa meglio di qualsiasi russo e questo è significativo…il bridge, un gioco tra intellettuali, gli esoterici devono averlo previsto, se uscissero dal tracciato della storia…

Altri morti da riesumare.

La suora entra in cucina e la presenta. È alta, magra, di gamba lunga, vestita con un camicione a righine blu da educanda che le arriva fino ai piedi calzati nudi in sandali col cinturino. Dal camicione sporgono prosperosi i seni, il collo è lungo, il viso ovale col naso delicato, la bocca abbondante, gli occhi azzurro verdi con striature gialle leggermente a mandorla, i capelli biondi raccolti  a crocchia dietro la nuca.

Tiene gli occhi bassi dondolandosi sulle gambe.

La suora la scuote e dice: “Su, saluta, che aspetti?”

Senza alzare gli occhi fa una leggera riverenza e dice: “Buon giorno, sono Galina…Smerdjakova, al suo servizio.” parla con uno spiccato accento russo, dopo l’ultima parola si morde le labbra e le serra.

“Che le avevo detto?” dice la suora “è un’orsa, se riuscirà a cavarne qualcosa ci toglierà un peso.”

Galina la guarda, si trattiene dal farle una linguaccia e riabbassa gli occhi.

“A me sembra perfetta, basterà qualche piccolo ritocco.”

La russa alza la testa e strilla: “Si ritocchi il deretano se le fa piacere!”

Suor Teresa la scuote: “Come ti permetti?” Mi guarda e continua: “La perdoni, è fatta così, se vuole la rimando indietro.”

Un’orsa da domare, dev’essere stupida come il suo nome, proprio quel che ci vuole…la sua risposta mi ha divertito, Galina mi guarda ridere e non si trattiene dal ridere anche lei.

“Mi faccia provare, ” dico, “la segretaria di un pubblicitario deve sapere far colpo sui clienti e potrebbe essere una buona idea.”

La suora mi guarda con aria contrariata e ribatte: “Lo sapevo, non si faccia illusioni, la conosco bene, volevamo farne un’infermiera ma non è stato possibile. Se non fosse perché…” Si morde le labbra e continua: “Bene, lei cercava una segretaria, eccola qui, il problema è suo.”

Usciamo dalla cucina per entrare nell’ufficio. Galina rimane qualche secondo incantata a guardare il trenino poi si lascia condurre docile al tavolo della segretaria sotto la finestra con vista sulle Alpi. La faccio sedere e siedo a mia volta su una delle poltroncine per i clienti.

“Ha già fatto lavori da segretaria?” le chiedo.

“No e non mi piace!” è la risposta.

“Non faccia la stronza, sto parlando seriamente, vuol stare tutta la vita a muffire in quel convento?”

Galina mi guarda storto e ribatte: “Io sono Elena, una principessa, mi hanno rapita e non voglio essere serva di nessuno!”

“Vuole che la chiami Elena? Per me va bene, un nome vale l’altro, ha mai avuto degli amici?”

“No…sono orfana, ho sempre vissuto in convento, sono tutte bugiarde…”

“I suoi genitori? Smerdjakova è un cognome interessante…”

Elena mi guarda angosciata, alza una spalla e risponde: “Non li ho mai conosciuti, forse…c’erano degli ubriaconi intorno a me una volta, mi picchiavano… io…sono anni che in Russia si discute di cambiare questi cognomi ma…”

“Le piacciono le favole?”

Mi guarda sorpresa e risponde: “Sì, come fa a saperlo?”

“Principi a cavallo che salvano le belle principesse?”

“Sì…io…”

“E’ proprio stupida! Se vuole lavorare con me si deve togliere ogni stronzata che ha nella testa, a me serve una puttana senza scrupoli che non abbia paura di nulla!”

“Io non sono una puttana, fatti una sega!” Ribatte piccata.

Mi guarda ridere sorpresa e continua: “Lei è un tipo strano…se non fosse…non sono scema…forse…una maschera, le suore hanno detto che mi rimandano in Russia e non ci voglio tornare, sono tutti ubriaconi, ignoranti, rozzi, io sono una principessa! Adesso, lo so, a me non piace, se potessi…ma non posso! Mi dica che cosa vuole da me!”

“Prima di tutto la mia segretaria deve essere una persona fidata, nella pubblicità circolano un sacco di spie, le idee buone sono rare e tutti le vogliono rubare. Se lavorerà qui verrà avvicinata da un sacco di tipi equivoci che le offriranno montagne di soldi per averle.”

Elena mi guarda interessata e dice: “Bene…anche la Cia? E James Bond? e poi?”

“La mia segretaria deve essere complice, iniziamo a darci del tu.”

“Fottiti! io…” si morde le labbra e continua: “Lei è proprio strano, finora…erano pezzi di merda che mi volevano scopare ed io sono una principessa…non so, straparlo, forse sono proprio stupida…cosa dovrei fare?”

“Nulla di difficile, c’è da dare da mangiare ai pesci nelle vasche del trenino e rispondere al telefono, le chiamate secondarie le passi ad un ufficio e quelle importanti le dai a me, nient’altro. All’inizio ti darò una mano poi con la pratica capirai da te.

“E quanto mi dai?”

“Ho già pagato un bel gruzzolo alle suore ma come extra, per iniziare, potrei darti duemila euro alla settimana.”

Elena mi guarda sbalordita ed esclama: “Duemila euro? Sono un sacco di soldi, io…va bene, gli altri…”

“Sono una miseria, se ci saprai fare potrai guadagnarne a milioni, per questo però dovremo intenderci e di quei milioni me ne dovrai dare la metà, le principesse non sono nomi, bisogna esserlo e se lo sei veramente sono sicuro che capisci.”

Elena rimane qualche secondo pensierosa e dice: “E cosa dovrei fare?”

“Nulla di difficile, fare la spia e poi dividere.”

“Lei…tu…è proprio strano, adesso mi piace, fare la spia è sempre stato il mio sogno, da bambina guardavo sempre i film di spie, 007 era il mio idolo, Sean Connery, che peccato che sia invecchiato…ho capito, ho pensato subito che avrei fatto la spia e lei…tu, lo sapevi…ma, io…mi piace, quando iniziamo?”

“Abbiamo già iniziato. Quegli ubriaconi ti picchiavano quando guardavi quei film?”

Elena mi guarda angosciata e risponde: “Come fa…fai a saperlo, sei un mago? La suora mi ha detto di fare attenzione…sì, ad un certo punto il governo li considerò antirussi e proibì alle televisioni di stato di trasmetterli ma circolavano molte riviste e fotoromanzi di storie di spie con 007 e qualche televisione privata continuava a trasmetterli. Una volta mi scoprirono con un fotoromanzo e venni quasi massacrata. Ora…l’avevo dimenticato, c’era Sean Connery che rideva in copertina, mi vergognai a morte, come fa…fai a saperlo?”

“L’ho letto su un libro che parla di un tuo omonimo letterario, senz’altro conosci Dostoevskij:

                          Da dove proveniva la luce se il sole lo creò il quarto giorno?

 Per questa domanda Smerdjakov viene massacrato di botte dal servo ubriacone che gli fa da patrigno.”

“Conosco Dostoevskij di nome ma non ho mai letto nulla, non capisco, che ha a che fare tutto questo con me?”

“Sogni spesso Sean Connery?”

“Sì, certe volte…però, è diventato un incubo ormai, io…”

“Adesso Smerdjakov sa da dove proveniva la luce.”

“Non capisco.”

“Capire non è importante, lo hai ricordato ed è sufficiente, forse quegli ubriaconi sapevano quel che facevano.”

Elena rimane qualche secondo pensierosa guardando le cime bianche delle Alpi alla finestra e continua: “Quello che dice…dici…non ci posso credere,  significherebbe che…è assurdo, è successo a milioni come me, come potevano?”

“Questa è una domanda interessante, sei intelligente.”

Mi guarda compiaciuta e dice: “Avevo letto un libro…aspetta, non ricordo più il nome…ecco! Un altro sogno, mi fa…fai sentire come Margherita quando incontra il suo maestro:

                L’amore assassino sbucò fuori dalla tenebra e colpì a tradimento…”

“Alludi a Bulgakov? Un medico pentito che scrive storie su pilati pentiti, lo conosco bene, hai proprio centrato il problema, anche lui faceva il doppio gioco, sembrava contro Stalin invece…l’apologo del dottor Faust, le uova fatali, cuore di cane…cambiando chiave di lettura è tutto chiaro. I medici di campagna devono essere stimati in Russia, ci sono molti tedeschi tra loro?”

“Forse, non ricordo, aspetta…parecchi hanno il cognome tedesco naturalizzato russo, ne sono arrivati molti dalla Germania orientale e molti di noi si trasferirono a lavorare là. Ero bambina, fu proprio uno di loro che mi aiutò, i miei erano finiti in una clinica per alcolizzati, ora…”

“Ora sei qui per lavoro e non siamo in un fotoromanzo per educande sciocche, i collegamenti sono quelli e bisogna uscirne fuori, per cominciare dovrai toglierti quegli stracci che indossi e rinascere, ti vestirai come deve essere vestita la segretaria di un pubblicitario.

In quel momento squilla il telefono. 

Elena alza la cornetta automaticamente e risponde: “Che cazzo vuoi?”

Rimane qualche secondo in attesa e riappende. “Hanno attaccato.” dice.

“Richiameranno, cerca di essere meno orsa, sono loro che pagano.”

Dopo qualche secondo il telefono riprende a squillare. Elena alza la cornetta e risponde: “Sono l’orsa!…chi parla?” rimane ad ascoltare, tappa il telefono con le mani e dice: “La…non ho capito bene, cercano te.”

Prendo la comunicazione, dall’altra parte si sente una voce dire: “Buon giorno, sono il capo promozione della L‘Oréal, abbiamo visto la pubblicità del rosticciere e ci è piaciuta molto, vorremmo contattarla per la nostra prossima campagna, se è disponibile per un appuntamento verrei a trovarla al più presto.”

 

Che notte!

Breve riepilogo. In pubblicità tutto fa soldi, ho chiesto al promoter se voleva associare la sua immagine ad un marchio di abbigliamento e lui ha risposto che erano già in contatto e che me ne avrebbe parlato a voce. Prima di fissare l’appuntamento gli ho detto di aver bisogno di informazioni tanto per buttare giù qualche idea da proporre e che per questo gli avrei mandato una modella da truccare e rivestire con i loro migliori prodotti.

“Senz’altro, quando vuole!” ha risposto.

Abbiamo combinato nel pomeriggio e preso l’appuntamento per la settimana prossima.

Elena era restia. Le ho detto: “Ora che si è aperta la porta hai paura a varcarla?”

“Non so, fa…fai tutto così in fretta, io…cosa diranno le suore, loro non so se saranno d’accordo.”

“Che ti importa, ti ho comprata ed adesso sei mia, vai, cerca di non pensare, scegli i trucchi e gli abiti che preferisci e prendine quanti ne vuoi, falli mettere sul mio conto, penserò poi a scontarli dal contratto.

L’ho caricata su un taxi e spedita in un loro centro.

Poco dopo è arrivato il capo dell’ufficio di Firenze. Siamo subito usciti per recarci all’aeroporto dove abbiamo affittato un piper per Parigi. Durante il volo gli ho spiegato il piano per la pubblicità, ha riso per dieci minuti buoni, non voleva crederci poi si è convinto e gli ho elencato ogni particolare.

Atterrati abbiamo fatto un giro per Montmartre, cenato in un ristorantino sulla Senna e passato la notte al Moulin Rouge coccolati da puttane e ballerine con fiumi di champagne che inondavano il locale.

Adesso sono nuovamente nel mio studio, a differenza dei russi le parole si riprendono in fretta dalle ubriacature e sono già al lavoro.

Il bridge, un ponte che cerca la riva, non è facile e non è difficile.

 La Russia pare come quelle paludi di Tolkien nelle cui acque stagnano elfi uomini gnomi e orchi morti nelle guerre passate coperti dal putridume, per fortuna tutto il mondo è paese e si possono fare confronti.

Stando alla storia ufficiale le città fondate dai romani, le calate dei barbari, le conquiste di spagnoli francesi e normanni hanno creato negli stati dell’Europa occidentale popoli misti nelle tipologie uniti da una lingua nazionale.

L’Italia come la Germania, l’Inghilterra, la Francia, la Spagna ecc. sono formate da parti di Italiani, Tedeschi, Inglesi, ecc. accumunati dalla lingua e nel mucchio ci sono anche russi e non pochi.

In Russia è la stessa cosa, la Russia è un continente immenso e la sua storia si ripete come in ogni altra parte del mondo. La grande Armata di Napoleone portò a Mosca seicentomila uomini, Francesi, Spagnoli, Italiani, Tedeschi ecc. di cui la maggior parte rimase in Russia e venne accorpata nel popolo, inoltre nell’ultima guerra è probabile che miliaia di Tedeschi e Italiani rimasero in Russia attirati dalle bellezze delle muziche.

L’oriente nell’occidente e l’occidente nell’oriente, lo schema è logico e fin qui niente di male, la parte la cui forma è l’universale delle parti.

Il problema dei muzic è serio e va studiato con la ragione, molti intellettuali russi, i figli marcati del contadino Caino, sono imprigionati nel loro cognome.

Il sistema dei servi della gleba russo era simile a quello spartano degli Iloti, l’origine arriva dalla Grecia e comprende l’intera Asia, per analogia sociale si potrebbe dire lo stesso degli Eta giapponesi e dei Paria indiani e in occidente degli zingari e dei nativi americani.

Come l’Europa occidentale anche la Russia durante i secoli fu teatro di numerose invasioni che mischiarono le razze. All’origine, nel fondo archeologico della loro lingua probabilmente devono esserci gli sciti, il popolo  che occupava la Crimea ai tempi di Erodoto, divisi in pastori nomadi e coltivatori di grano, come cosacchi e muzic. 

Erodoto non andava oltre la Crimea, gli sciti, come i russi, in guerra applicavano la tattica della terra bruciata e questo è un fatto.

Come gli iloti, le antiche popolazioni russe  vennero sottomesse da eserciti invasori che li asservirono come schiavi, la cosa avvenne gradualmente, si può probabilizzare un primo nucleo che dalla Russia si allarga a tutta l’Europa, un software etnico con una mentalità condizionata ad odiare gli ebrei (prendendone la forma), avere un padrone tedesco, riempire il granaio di nobili idioti ed a tenere per sé solo l‘occorrente per mangiare.

Bisognerebbe vedere la Russia come un bacino sterminato dove confluiscono volta per volta le civiltà Mesopotamiche sconfitte, Babilonia per prima, persiani, parti, ebrei e infine l’impero romano d’oriente, i bizantini cacciati dai turchi. Zar è sinonimo di Cesare.

I Romanov, ai tempi di Pietro il Grande i muzic c’erano già e la Russia assomigliava all’Inghilterra prima della conquista dei normanni, bestie che vivevano in isbe di fango con boiardi ignoranti dal potere assoluto e questo potrebbe probabilizzare anche una invasione di Sassoni ai tempi delle calate. Sulle origini probabili dei sassoni parleremo poi.

La storia da Pietro in poi la conoscono tutti, comunque si tratta sempre di movimenti stabiliti a tavolino da un potere mondiale che non lascia nulla al caso.

Oggi la Russia è quello che è, un coagulo di tipologie provenienti dalle più svariate civiltà morte del passato uniti da un’unica lingua all’interno della quale sono ancora tutti vivi e parlano in una babilonia di mentalità.

Come il resto del mondo, anche la Russia deve essere piena di ospedali carichi di degenti con milioni di anziani intossicati dalle medicine e dalla vodka a buon mercato.

Certo o non certo di tutto questo agli intellettuali russi non deve importare assolutamente nulla. Zero.

Le probabilità parlano chiaro, la ragione nome è l’in sé dell’intellettuale forma, l’unità che dà ali alle aquile e la ragione ragiona!

Ad esempio: L’imperatore del Giappone non è un eta, la forma dell’imperatore è l’eta, cioè quello che crede di non essere e viceversa per chi capisce.

Sono gli eta che danno forma all’imperatore, il problema è nella mentalità del popolino boccalone che determina il peso dell’idea e fa sì che un idiota privo di talento venga chiamato imperatore e un intellettuale geniale eta o muzic.

L’imperatore diventa modello a cui si specchia la scala sociale, la mentalità di un idiota  si trova sulla vetta e gli intellettuali nel fango nominale.

E’ un sistema a cui non ci si può opporre e va visto con l’ottica del potere dominante.

A determinare la forma dell’uomo è la ragione quindi se ragiona è umano se non ragiona è bestia. Bisogna intendersi, la trappola è pronta a scattare e va ragionata in piena libertà, a volo d’aquila sopra tutto.

La ragione è assoluta, la relatività divisa tra il bene e il male, non ragionano quindi sono bestie, maiali, ci sono maiali religiosi e maiali non religiosi, maiali nobili e maiali plebei, maiali che amano e maiali che odiano, solo maiali asserviti da un potere che li alleva per fare salami.

Fuori dalla logica del bene e del male, qualsiasi intervento nella storia attuale sarebbe fare il loro gioco, il sistema si distrugge da sé, la legge del ghetto ebreo, imperatori nobili e borghesi sono solo bestie che credono di non essere bestie, la loro forma è data dai poveri e dalla delinquenza di cui sono causa che crescono in proporzione alla loro incapacità fino a diventare talmente tanti da distruggerli.

Lasciamo fare ai norcini, il sistema è naturale e si ripristina automaticamente grazie ad un capro espiatorio che è appunto la trappola dove non dobbiamo cadere.

Il sistema si basa sugli ebrei, la storia si ripete, è scritta sui libri, basta leggere. Oggi gli ebrei sono in Israele come duemila anni fa ai tempi di Nerone. Un punto storico zero, è probabile che tutto il mondo sia al suo posto.

Stando a quel che scrive quel pacchista di Tacito nelle Storie dopo la morte di Nerone le guerre tra Galba, Otone e Vitellio sconquassarono l’Europa indebolendo l’esercito in Germania, Gallia e Italia permettendo così a Vespasiano di salire dall’Africa prendere l’impero e seminare gli ebrei. Chi capisce capisce, se il Nerone alla Casa Bianca dovesse morire…tutto il resto sarebbe una ripetizione di quei fatti su tutto il pianeta ma di questo ho già scritto a sufficienza.

La storia è all’impasse, uno spettacolo da guardare senza toccare.

Il ponte ora è buttato alle stelle, la partita si fa interessante.

 

Esco dalla studio con la testa che fuma e passo in ufficio. Elena è seduta alla sua scrivania, accucciata sulla sedia.”

“Su, alzati che aspetti?” le dico.

“Mi vergogno…”

“Cos’è successo?”

Tentenna parlando in russo e si alza: “Guarda!”

Tacchi a spillo, minigonna vertiginosa, body dorato dall’ampia scollatura con intrecci di brillantini, viso truccato in ogni particolare, acconciatura ricciolina con fili di perle che pendono dai lobi…una puttana perfetta.

“Ti piaccio?”

“Come inizio non c’è male.”

“Ho fatto come hai detto, io…non avrei mai immaginato una cosa simile, vieni, ti faccio vedere.”

Si è aperta una porta verso una nuova stanza, un elegante salottino con attigua una grande camera da letto ancora in formazione ed un bagno stupendo.

Nel salottino su uno stendino sono appesi degli abiti. “Ho preso questi, ” dice facendoci scorrere la mano, “e questo.” Stacca un elegante abito da sposa bianco frusciante di seta e chiede: “Ti piace?”

“Per chi è?”

“Per me naturalmente, quando ci sposiamo?”

“Scordatelo, le segretarie non si sposano, chi ti ha messo in testa questa stronzata?”

“Come sarebbe, io credevo…” Si guarda ad un grande specchio appoggiato alla parete, fa qualche piroetta sulle punte e dice: “Non credevo di essere così bella ma se non mi vuoi pazienza, cercherò qualcun altro.”

“Per andare a fare la serva? Una segretaria deve essere libera, padrona di se stessa, avrai tutto il mondo ai tuoi piedi, potrai fare tutto quello che vuoi.”

“Non capisco, credevo…non ti piaccio?”

“Si può fare meglio, ti sei vestita fuori ma dentro ci sono ancora tutti quei fotoromanzi con principesse portinaie e principi babbei che si sposano e vivono come piccoli borghesi idioti che fanno figli idioti e vanno a messa, questo è un altro mondo, nessuna catena, libero.”

“Io…credevo…” Si guarda il culo allo specchio facendo sollevare la minigonna sui lombi e continua: “Se lo dici tu…ti assicuro che avrei saputo…ma se non vuoi.”

“Chi ha detto che non voglio, a suo tempo, se dovessi sposare tutte le segretarie che ho per il mondo…”

“Come sarebbe, sono un’orsa ed ho artigli che uccidono, non mi piace che…”

“Ti piacerà…la gelosia è un sentimento plebeo e ti passerà in fretta. Come è andata al salone, ti sei divertita?”

“Un sacco, c’era tanta bella gente, mi hanno proprio trasformata.”

“Nient’altro?”

“Beh…sì, ho un invito a cena per stasera, vedessi che fusto, non volevo dirtelo ma a questo punto…non sei geloso?”

“Di chi dovrei esserlo? E’ il tuo lavoro.”

“Credi che sia una spia?”

“Probabile, adesso sei ancora grezza ma sono certo che imparerai in fretta, senza pensare, fai sempre quello che ti viene spontaneo e tutto andrà a meraviglia.”

“In tal caso…”

Segue un oretta di fuoco di cui tralascio i particolari per continuare la storia.

 

Il mattino dopo entro in ufficio, sul piano del trenino le fontane sprizzano gioconde e nei laghetti scintillano i pesciolini, Elena è al suo tavolo nuovamente vestita nel camicione, tutta arruffata, gli occhi gonfi di pianto.

“Cos’è successo?” Le chiedo.

Inizia a strillare in russo poi si calma e continua in italiano: “Non posso fare la segretaria, sono un disastro, ho combinato un guaio, ho deciso di tornare al convento, andrò a fare la serva.”

“E’ successo ieri sera durante la cena? racconta.”

Mi guarda con occhi truci e dice: “No, la suora ha detto che sei il diavolo e mi vuoi imbrogliare, mi fai paura.”

“Sei tornata Galina, dov’è finita Elena?”

Rimane in silenzio qualche secondo e risponde: “Non so…adesso sono una serva!”

“Racconta.”

“Io…come vuole, ieri sono andata alla cena, è venuto a prendermi con la macchina, siamo andati al ristorante, andava tutto bene, parlavamo di moda, cosmetici, ha voluto sapere che cosa facevo in Russia e gli ho raccontato un po’ di balle, poi è arrivato un suo amico e si è seduto al nostro tavolo, assomigliava a Sean Connery e rideva sempre, ha cominciato col dire di essere il figlio di un dottore poi si è messo a discorrere di serve con genitori ubriaconi,  sembrava parlare di me, diceva cose che…e continuava a ridere, ad un certo punto non ce l’ho più fatta e gli ho rovesciato il tavolo addosso e spaccato una bottiglia sulla testa, si sono messi tutti a gridare, uno scompiglio, per fortuna nel ristorante c’era un poliziotto, quando ha saputo che lavoravo per te mi ha portata fuori e mi ha accompagnata a casa. Adesso…”

“Hai fatto esattamente quello che dovevi fare, sei stata naturale e spontanea.”

“Lo sapevo che avresti detto così…per quello mi fai paura, sei diverso dagli altri…credi che mi arresteranno?”

“No, anzi…non ti preoccupare delle conseguenze, condurre gli affari è compito mio.”

“Adesso che faccio?”

“Il solito, dai da mangiare ai pesci e se qualcuno telefona prendi nota…”

In cucina c’è il poliziotto dell’altra volta sempre vestito da bandito di strada che parla con la suora.

“Buon giorno, ” dice “la stavo aspettando.”

La suora mi guarda con un sorrisetto ironico ed esce.

“E’ venuto per l’incidente di ieri? La segretaria mi ha raccontato tutto.”

Il poliziotto fa l’aria burbera e continua: “Era un caso che mi trovassi in quel ristorante, la ragazza ha messo tutto a soqquadro, i proprietari volevano denunciarla ma li ho convinti ad aspettare…c’era anche uno che ha ripreso tutta la scena con una telecamera, volevo impedirglielo ma poi…il discorso che ha fatto l’altra volta mi ha messo una pulce nell’orecchio e non sono ancora riuscito a cacciarla, lei è proprio un tipo strano…l’accompagnatore della sua segretaria si è rifiutato di pagare i danni, le conviene telefonare a quel ristorante se vuole evitare guai.”

“Lo farò subito.”

Chiamo, il ristoratore viene al telefono, sbraita infuriato per un po’ e quando smette gli dico: “Le pagherò i danni, non si preoccupi, non l’ho avvertita prima per rendere l’effetto più realistico, stavamo girando una scena per una pubblicità che andrà in onda su tutto il pianeta, mi mandi il conto in ufficio.”

Il ristoratore rimane silenzioso qualche secondo e continua: “Ho capito, lei è quello che ha fatto la pubblicità al rosticciere, ha già aperto due nuove rivendite, lo conosco di persona…”

“Se è per quello la posso fare entrare nell’affare e fare in modo che l’immagine del suo locale risalti nella pubblicità. Se le interessa ne possiamo parlare.”

“Quanto mi verrebbe a costare?”

“Meglio trattare di persona, mi venga a trovare.”

“Oggi non posso, la notizia dell’incidente è stata trasmessa dai giornali, ho il tutto esaurito…ho capito, è stato lei!…mi dica così per sapermi regolare…”

“Per queste cose a livello regionale la tariffa è standard, calcoli centomila euro, soldo più soldo meno…”

“Non è poco, ma…ho capito, le dico subito che accetto, verrò appena posso, mi scusi se le ho detto quelle cose all’inizio, non sapevo, mi scusi ancora…”

“Va bene, la perdono…”

Chiusa la comunicazione il poliziotto mi guarda ammirato e dice: “Sa quanti anni dovrei lavorare per mettere su centomila euro? E lei con due parole…”

“Sciocchezze, ognuno ha il suo mestiere, le spese sono in proporzione, i costi sono altissimi, centomila euro valgono quello che per lei sono un paio di euro, vanno e vengono.”

“Ho capito, dovrebbe fare il politico, saprebbe imbambolare chiunque con le parole…avevo piacere di rivederla, da noi se ne parla da tempo, ci sono cose che…la mafia ad esempio e gli spacciatori…non so, il male, come capire?…lei parla di effetti e mi ha dimostrato che ogni cosa può essere rivoltata in utile, noi certe volte ci sentiamo proprio inutili, quando spunta un commissario capace viene subito ammazzato ed i giornalisti battono le campane mentre da noi viene sempre tutto insabbiato, intuisco che ci deve essere un inghippo ma non riesco a…come dire?”

“Vuole perdere il posto?”

“No…a me piace il mio lavoro, non mi piace sapere di essere un burattino che viene usato da altri per…quanti sono già morti per queste pubblicità? Capisce cosa intendo?”

“Perfettamente, nonostante l’apparenza lei è intelligente, la polizia deve considerare questi morti come martiri e naturalmente credere che li abbiano ammazzati veramente e pensare che gli assassini sono molto cattivi mentre le vittime erano molto buone…”

Il poliziotto mi guarda con aria incredula e dice: “Vorrebbe farmi credere che?…”

“Creda quello che le pare, capire il sistema non le sarebbe di alcun giovamento, se perdesse il posto si metterebbe a fare il delinquente per non morire di fame!”

“E’ questo il punto, molti di noi lo hanno capito, non saremmo mai capaci di fare i manovali o gli operai…abbiamo anche capito come Piero ha manovrato la delinquenza minore e non sappiamo proprio che cosa fare.”

“Questo non glielo posso dire. Era proprio un caso che ieri sera si trovasse al ristorante?”

“Glielo posso assicurare.”

“In tal caso la cosa migliore e continuare così, forse si troverà in altri posti giusti al momento giusto senza saperlo, il sistema non si può cambiare, ci sono centinaia di milioni di anziani intossicati dalle medicine, si rende conto di quel che succederebbe se…”

“Ho capito perfettamente, vuol dire continuare a giocare a guardie e ladri senza farsi troppo male…bene, mi sembra una buona idea per il momento, spero che non mi chieda centomila euro per avermela data.”

“Perché no? Dipende quanto valore dà al suo lavoro, solitamente in questi casi non mi faccio pagare in denaro.”

“Lei è proprio strano…mi sta proponendo un patto con il diavolo.”

“Quello che lei crede cattivo.”

“Non faccia filosofia, non c’è bisogno, ho capito che ci sono questioni che riguardano la politica mondiale e non sono all’altezza di comprenderle, a me piaccio come sono e non mi interessano. Cercherò di far buon uso del suo consiglio, in pratica non è cambiato nulla, forse tornerò a trovarla.”

 

Il poliziotto esce di scena e suor Teresa rientra in cucina.

È visibilmente nervosa, si guarda intorno fingendo di ignorarmi, muove le medicine sul tavolo cercando qualcosa che non trova, estrae una siringa da un pacchetto e la rimette dentro, guarda l’ora…”

“Che le succede?” le chiedo.

“Sono due giorni che aspetto…nulla, tutto a posto, che strano quel poliziotto, vestirsi così…la sua segretaria, che le avevo detto? combina solo guai, come l’ha aggiustata?”

“Bene…deve farsi, ci vuole tempo. Stamattina era strana, questa storia del diavolo…dopo quanto è successo  credevo che certi argomenti fossero superati tra noi, che cosa le è andata a dire?”

“Assolutamente nulla, cioè…le ho detto che lei è uno che capisce, di non mentire come fa di solito perché…insomma…”

“E’ venuta qualche suora mentre non c’ero?”

“No…cosa le ha detto? Racconta un sacco di bugie, ha parlato male di me?”

“E’ gelosa?”

“Di chi dovrei esserlo? Allude? Io sono del signore, lui…che domande fa? L’infermiera ha detto che sono stata male e che lei mi ha curata, non ricordo nulla, mi sembra che…forse ho sognato, è lei che mi ha chiesto se avevo conosciuto un certo Piero, il figlio del postino?”

“Si è ricordata

“Sì, un bel tipo, è importante?”

In quel momento suonano alla porta. Suor Teresa si precipita ad aprire, c’è un commesso con un pacco, la suora lo ritira e corre subito a rinchiudersi nella sua cella.

Nella sala il padrone del mondo è alle prese con una montagna di spiedini riempiti con tranci di carne di svariate qualità, mi saluta alzandone uno già mezzo divorato, rutta sonoramente e riprende a mangiare. L’infermiera è seduta poco lontano sferruzzando un maglione con un occhio alla televisione dove si vede un medico azzimato  descrivere i sintomi di un cancro, le conseguenze atroci e le precauzioni da prendere a chi li avvisasse.

Rientro in cucina per farmi un caffè, poco dopo ritorna la suora, ora ha l’aria rilassata ed un paio di occhiali con le lenti scure che le coprono gli occhi.

Si siede al tavolo e sospira.

“Erano medicine importanti, ” dice con tono di scusa, “le ho messe al sicuro.”

“Nell’armadietto della sua cella?”

“Sì. Sono medicine da usare solo in caso di emergenza, sono affidate alla mia custodia.”

“Interessante, medicine vietate, lei ne fa uso?”

Mi guarda leggermente allarmata e dice: “Perché me lo chiede?…io sono una suora…forse farei bene a chiedere al convento di sostituirmi, lei…”

“Si arrende? Non la facevo così debole.”

“Che cosa ne sa? Io…stavamo parlando di Piero, le interessa ancora?”

“Noi siamo solo parole, è all’autore che interessa.”

“Continua a fare il filosofo, insomma, parli chiaro. L’ho conosciuto, avevo lavorato in un ospedale ed era venuto per un’appendicite. Erano i medici che lo chiamavano sempre il figlio del postino, lui…avrebbe dovuto vederlo, guardava senza guardare, aveva due occhi…”

“E lei si è innamorata subito.”

“Cosa dice?…sono una suora! Lui…crede che abbia qualche attinenza con i sogni che faccio?”

“Forse, credere non è la parola giusta, la psicoanalisi è una sonda che esplora i misteri dell’animo umano e si basa solo sui fatti evidenti, avvenne qualche cosa di insolito?”

“Non so, forse, anzi…ci fu una suora giovane che impazzì per lui, anche le altre, il primario ed il cappellano dicevano che ci prendeva in giro e forse avevano ragione, in quella settimana tutto l’ospedale non faceva altro che ridere, anche i malati più gravi…sembrava di essere in un manicomio, poi i medici vollero giocargli uno scherzo, lo fecero spogliare per visitarlo e alla fine si scostarono, io ero dietro di loro, quando mi vide ebbe un attimo di sorpresa ma si rilassò subito ed aprì ulteriormente le gambe mostrandomi il pene ridendo, l’avrei ucciso.”

“A quei tempi faceva già uso di medicine vietate?”

La suora solleva la testa, cambia il sorriso in una smorfia e risponde: “Se ha già capito tutto perché continua a tormentarmi, ne prendevo quando stavo male, è stato…non ne voglio parlare, queste cose riguardano solo me.”

“Come vuole…a chi venne l’idea di quello scherzo?”

“Fu il primario a parlarmene, ebbene…io l’avevo capito, non so perché ma era invidioso, disse che voleva dare un colpo alla sua strafottenza, a me non sembrava una cosa ben fatta ma mi lasciai convincere, non lo so, in quei giorni…Piero aveva scritto una poesia ma…lui non guardava, io…mi aveva toccata, volevo…”

“Succhiarglielo?”

La suora arrossisce e continua: “Non sia scurrile, io sono una suora. Non lo so, è vero, era molto eccitante, da allora…è importante?”

“Forse…il burattino burattinava e se lo faceva doveva avere i suoi motivi, come andò a finire?”

“Nulla, venne dimesso e tutto tornò come prima.”

“Lo vide ancora?”

“Sì. Venne per togliersi un foruncolo, che tipo, volevo trattenerlo ma lui mi fece capire che non gli importava niente, l’avrei ucciso!”

“Le suore non dovrebbero dire certe cose.”

“E’ vero, lei sarebbe un ottimo confessore, non sono abituata ad aprirmi con estranei e mi fa dire cose che…non so, non è odio, è…”

“Non ha importanza, la malattia è effetto ed il male va curato nella causa, le sue medicine curano tutti i malati allo stesso modo mentre esistono diverse tipologie umane e quello che è bene per una potrebbe essere male per le altre, non ci sono solo maiali. Il suo caso è particolare e va interpretato nella psicologia propria della sua tipologia. Lo vide ancora?”

“Sì ma quella volta fu per altri motivi e lo vidi solo di nascosto, questo se si venisse a sapere…”

“Non si preoccupi, il segreto professionale non è una favola, siamo su un tavolo operatorio ed il suo caso è molto grave.”

“Quella volta fu una carognata che i medici vollero fargli d’accordo con la polizia, non so perché  ce l’avessero tanto con lui, io non ne volli sapere e mi tenni in disparte. Lui si drogava, lo sapevano tutti, era entrato in un giro di figli di ricchi borghesi che gli avevano attaccato il vizio, non so, era così intelligente e faceva cose che…corruppero un paio di suoi amici e li fecero ricoverare in ospedale per disintossicarsi, lui li venne a trovare e quelli gli proposero di portare della droga di nascosto. Avevo il batticuore, era una cosa orrenda e lui invece fece un discorso che lasciò tutti a bocca aperta, disse che non l’avrebbe fatto, che erano lì per curarsi e se volevano la roba erano liberi di uscire ed andare a prenderla, che avrebbero fatto meglio a liberarsi della dipendenza, che erano come i malati col sacchetto di medicine, schiavi! Eravamo tutti nascosti ad ascoltare, il primario non si fece vedere per due giorni, li aveva…”

“Non era la risposta che si aspettava.”

“E’ vero, rimasi stupita, forse delusa, credevo…che importanza ha?”

“Lei continuò a prendere le medicine proibite?”

“Io…non le si può nascondere niente, ebbene…sì, ormai, cercai di smettere, il suo discorso mi aveva fatto capire cose che…ma quella era la mia vita, è la mia vita, tutti i giorni, lei cosa ne sa?”

“Una grande superbia, odio e gelosia, ripicca e autolesionismo, diagnosi banale, è sempre stata burattinata, il suo comportamento è prevedibile e la si può portare a spasso dove si vuole.”

“Lei può dire quello che vuole, io sono una suora, le debolezze del mio corpo… ebbene, sono un’altra cosa.”

“Non cerchi scuse, esiste una casistica, il suo male è comune a molte donne ed un professionista grazie al confronto può trarre utili informazioni. Il suo caso è complesso, lei ha in sé una doppia personalità, se una appare banale l’altra potrebbe non esserlo e agire nel profondo della psiche indipendentemente dalla sua volontà. Nei monasteri da secoli si tramanda una mentalità le cui origini sono antichissime, probabilmente attinenti alla dipendenza dai farmaci. Lei potrebbe aver incarnato questa mentalità, un vaso di Pandora che racchiude tutti i mali, o meglio le credenze ritenute bene ed essere usata come campione statistico per influenzare altre mentalità a credere bene quel che in realtà non lo è affatto.”

“Che Gesù mi aiuti, cosa dice? Mi fa paura.”

“Se vuole guarire è meglio che non ne abbia, rompere quel vaso potrebbe risultarle fatale, a lei ed alla mentalità che influenza, i suoi diavoli vanno estirpati con logica uno alla volta, iniziando dal tappo che li rinchiude, la superbia, quello che lei crede di non essere.”

“Insiste, quello che dice è assurdo, superbo era Lucifero, vorrebbe farmi intendere che sono io?”

“Superstizione! Lucifero è il portatore di luce, un campione statistico per la fascia di opinione che rappresenta, i diavoli. Lucifero venne demonizzato dai nuovi poteri che si sovrapposero alla mentalità greco romana, prima era una stella, la più splendente del cielo e prima ancora…chi lo sa? Il diavolo non centra, è solo un nome a cui la credulità del popolino dà corpo, un sogno e nient’altro. Non cerchi di capire, sarebbe inutile, la psiche è un automatismo che si monta per imitazione in base al campione statistico di riferimento, un effetto ed il male sta nella causa che è completamente estranea al suo comportamento.”

“Lei parla bene, sa usare le parole, le fa parlare dipingendo immagini che mi stanno demolendo, sono un vaso dunque, che cosa succederebbe se mi rompessi?”

“Il vaso di Pandora racchiude il male, che cosa c’è sotto la sua tonaca?”

La suora rimane in silenzio per qualche secondo e dice: “Il mio corpo, ho capito.”

“E dentro il suo corpo?” E dentro le parti del suo corpo? E dentro le parti delle parti del suo corpo?”

“Un vaso complesso, quanti ce ne sono?” risponde con l’accenno di un sorriso.”

“Il corpo di Margherita che l’abito di suor Teresa nega e che lei ha trasferito nel sogno, un involucro di diavoli chiusi uno dentro l’altro, sembrano le scatole delle matrioske russe, dei sarcofagi…”

In quel momento entra Elena vestita da sposa, la seta frusciante e trasparente sopra il corpo nudo.  

                                   


                    Il marito ideale .


 

Gelosia al microscopio, attori che recitano, come si fa a capire? Quanti sono gli attori che recitano sulla facciata dell‘abito? Causa il giudizio del popolino boccalone, la causa nominata ha la forma di un effetto la cui causa è precedente nel tempo, risalire alla causa prima della gelosia, probabilmente l’invidia di dio, l’argomento con cui il serpente tenta Eva e prima ancora la scorticatura di Marsia, forse allusione a Pitone, un olimpo di dei gelosi dell’abilità degli uomini e dee gelose della bellezza delle donne.

La causa appare di una banalità sconcertante ma bisogna calcolare che si tratta di maiali che non ragionano animati da credenze e superstizioni tramandate, al di fuori del bene e del male è puro nulla.

La suora cambia espressione al viso, si toglie gli occhiali e si alza strillando: “Come ti sei vestita, sei oscena, corri subito a cambiarti!”

Elena le fa una linguaccia e risponde: “Non sono più una serva del convento, ora ho un lavoro e sono libera, tu vatti a consolare coi tuoi preti, puttana!”

Fa una giravolta a seni protesi facendo svolazzare la gonna sopra le cosce e chiede: “Ti piaccio? E da quando ero bambina che sogno l’abito da sposa, adesso ce l’ho. Mi stavo annoiando, perchè perdi tempo con questa babbuina, è falsa e bugiarda, crede di essere chissà che, un sacco pieno di merda.”

“Come ti permetti?” Grida la suora. Guarda il mio sguardo ammirato dal corpo di Elena e si risiede sbuffando.

“Sei magnifica, l’abito da sposa ti dona, hai fatto bene a metterlo, stavamo proprio parlando di questo.”

Elena continua: “Cosa ti avevo detto? ora non ho più paura di nulla, se non mi sposi tu ti sposo io…”

La suora interviene: “Chi vorresti sposare? Ricordati da dove vieni!”

“Sei cattiva!” strilla Elena “Io sono una principessa, mi avevano rapita ed ora…”

La interrompo per dire: “Sei ancora una serva, non credere che basti un abito per cambiare, una vera principessa non si vergogna di nulla.”

Elena si rabbuia e dice: “Sì, lo so, non è facile…”

Continuo: “Tutte le donne si vogliono sposare solo per avere un marito da fare cornuto, è quello che vorresti?”

Elena mi guarda sorridendo e risponde: “Io non sono come le altre.”

Suor Teresa interviene: “Questo lo dici tu, bugiarda.”

Ne approfitto per dirle: “Anche lei è vestita da sposa, il suo sposo è Gesù Cristo, vorrebbe alludere che qualche volta lo tradisce?”

“Non ci si metta anche lei!” strilla.

“Perché? l’analisi è ancora aperta, siamo in un sogno e quel che avviene non è mai a caso, prima mi ha fatto capire che avrebbe tradito il suo Gesù con Piero, il povero Piero, il figlio del postino, chissà quali sogni ha fatto con lui, non con Piero quel che è ma con quello che credeva che fosse!”

Suor Teresa si ritrae su se stessa e dice: “Come ha fatto a capire? Non parli così davanti ad estranei, mi sono aperta con lei ma non intendo diventare lo zimbello delle serve.”

“Di cosa si preoccupa? Sono solo parole, come campione statistico dimostra che Gesù Cristo è il più cornuto dei mariti, un fantoccio appeso ad una croce mentre le mogli si trastullano con i cazzi dei…”

Il discorso che segue non ha importanza, dopo un po’ tutti escono di scena e rimane solo la cucina piena di medicine.

Arriva la notte ed il sipario si apre su un nuovo sogno.               

 

L’orsa russa è nome, la forma dell’orso russo, il popolino superboccalone allattato con la vodka a buon mercato della Bayer, millenni di superstizione all’ombra del crocefisso ortodosso, queste cose giacciono sepolte nel linguaggio e affiorano al richiamo di stimoli, particolari parole in grado di risvegliarle. Praticamente quel che diceva quell’ubriacone di Pavlov, il discorso è rivolto agli intellettuali russi, quelli veri sepolti dal loro cognome quindi, se lo sono veramente, non c’è bisogno di tante parole. La pubblicità muove gli stimoli e la forma del male è il bene.

L’universale, un grande pianeta diviso in settori d’opinione che agiscono con le stesse leggi fisiche dell’acqua, maree, correnti, fiumi, rigagnoli, tempeste, bonacce ecc. la pubblicità agisce  sul tempo, dove tocca l’acqua si muove e deve fare in modo che dappertutto spiri una brezza allegra con moto ondoso senza trascendenze…

        

Buttato così il sogno si apre su abiti, due donne vestite da sposa stile macabro la tomba l’inversione amore non è odio la forma dell’amore è l’odio infatti è proprio così…la cosa si guarda quel che si vede va da sé è notte ogni cosa giace nel buio la luce è dove si guarda ed a guardare può essere un morto oppure un vivo comunque non cambia nulla alla scena…corpi onirici Elena in abito da sposa e suor Teresa con la tonaca nel prima del prima indefinito senza data senza tempo si illumina la cappella il soffitto lampeggiato dall’ira dei santi che schiacciano i dannati nel fango fulmini boati super cannonate esplosioni atomiche il crocefisso avvampa arrossato dal fuoco Elena e la suora sonnambule gli abiti si sfilano e giacciono nude ai suoi piedi cadaveri incartapecoriti dai millenni avvolti come mummie in una ragnatela gli abiti invece svolazzano intorno alla croce e oltre sulle tombe alle pareti che si stanno picchiettando di crepe come uova e da una inizia ad uscire Piero poi un altro Piero e un altro ancora e tutti uscendo si ricongiungono in un unico Piero…la testa del cristo sofferente coronato di spine si muove il dolore lo rende cieco il totem dalla bocca esce una lunga lingua appuntita e si lecca il sangue che gocciola dalla testa annusa sente i due cadaveri non si può muovere i chiodi dalla fronte gli spuntano due corna da lumaca con gli occhi che toccano si allungano fiutando l’aria fino ai piedi ed iniziano a palpare i corpi delle morte…raptus d’eccitazione il velo che gli copre i genitali si sfila sotto c’è un enorme figa pelosa con un grosso clitoride a forma di cazzo duro con la cappella recisa dalla ferita escono grossi goccioloni di sangue nero che cadono a terra formando un laghetto melmoso che si allarga alle spose che si animano ed iniziano a leccarlo nettare degli dei ambrosia un flash si alzano e entrano nella stanza dei sogni. La porta si chiude con una lastra di cristallo infrangibile ma si può vedere dentro.

Altra musica. Da un magma informe prendono forma Obama ed il papa, Obama vestito da capotribù africano con le piume sulla testa e Benedetto XVI da papa con la tiara, si stanno fottendo a sandwich Elena nuda, il papa nel culo e Obama davanti, Elena svanisce lentamente e i due continuano in un amplesso omosessuale, Obama stacca il cazzo al papa che si trasforma in una barca sarcofago con la tiara a prua e Obama sopra che rema nel nulla col cazzo diventato lungo e nodoso. Il nulla li inghiotte, riesplode la notte tempestosa sulle paludi di Teutoburgo, nitriti, cozzare di spade, urla di morenti poi il silenzio ed il putridume da cui escono scheletrici fantasmi in fuga questa volta verso est.

Gli abiti svolazzano sui corpi di Elena e della suora gonfi  di cazzo poi si svuotano ricadendo flosci sui loro corpi.

La porta va in frantumi in una cascata di vetro, nella cappella tutto è tornato normale, le bare vuote, il crocefisso immobile statua.

 

                                     Il re dei giuda


 

Metafora, un sogno complesso, interpretazione enigmatica, parole inserite in uno schema ideale che si incrociano, si toccano, si baciano anche in punti piccanti, l’Arte è un gioco per pochi, forse per uno solo e va usata con molta prudenza, la causa è segno e l’effetto è codice, la causa è una e l’effetto è universale, la causa non è l’effetto, la forma della causa è l’effetto.

I concorrenti al torneo di bridge vanno tirati fuori dalle tombe dove credono di essere morti seppelliti dalla vergogna, parole pesate dal giudizio del popolino che agiscono nel pensiero in antitesi di bene e di male con un modello a priori, un abito, una credenza, una parola la cui forma è il comportamento, la mentalità.

Inter nos, senza maiali intorno mi sono messo al lavoro davanti al computer, la pagina web bianca, la base di andata e ritorno e ci ho piazzato il sogno da analizzare.

Nome e forma, il papa e Obama, una parola ed il corpo di un nero americano, lo schema si apre su un oceano di probabilità che a prima vista sembrano contenere la sintesi di tutte le superstizioni umane tramandate ad oggi dal passato, un uovo o meglio, un vaso di Pandora.

La matassa va sbrogliata dal bandolo, con tanta pazienza.

Il nome del papa è Ratzinger, scomposto Rat Zinger.

Codice la lingua italiana la cui forma sono i vari dialetti parlati dalle regioni, in questo caso il piemontese che presenta molte analogie nei significati gergali con lo slang di New York probabilmente ereditati dai galli cisalpini dell’esercito di Giulio Cesare che sempre probabilmente vennero lasciati in Inghilterra ai tempi del de bello gallico.

Rat Zinger, rat in piemontese è sinonimo di topo oppure di persona spregevole, una spia, un giuda ecc. e zinger con la g dura di zingaro che come significato suona nello stesso modo. La figura di uno zingaro giuda, probabilmente associata all’ebreo errante.

L’origine degli zingari è controversa, la probabilità stando alla storia sono le miliaia di schiavi romani che il papa Leone I diede ad Attila che si fusero con gli unni in Ungheria e alla morte del loro capo tornarono a fare i nomadi e si dispersero in tutta Europa con una mentalità condizionata.

Da qualche parte ci deve essere un intellettuale rom sotterrato da una grave colpa, vedremo di tirarlo fuori.

Si tratta sempre di maiali quindi vanno presi come tali, gli zingari sono molto importanti, un punto chiave del sistema occidentale e anche, di riflesso, orientale.

Gli zingari nella scala sociale rappresentano il gradino più basso e non sono nessuno dei gradini che seguono, praticamente il do=0 da cui prende ragione l’ottava facendo suonare tutte le note e significandole nel loro sistema di vita.

Un nucleo che si raggruppa intorno al nome di un morto, la forma dei borghesi, dei nobili e dei credenti in cristo o in qualsiasi totem morto ci sia.

                                  zingaro=nigro+za(r)  la cui forma apparente è Obama

Il nome del papa presenta altre varianti da significare ma comunque in sintesi questa è la più importante, a noi parole piacciono gli scrittori geniali che ci usano come battacchio per rompere le uova nel paniere altrui…quindi passiamo a Obama. Il nome causa è uno, la forma effetto universale, il discorso si allarga calcolando anche Elena a sandwich che poi si dissolve uscendo dal sogno, la probabilità di un intellettuale negro traditore che si dispera per essere stato gabbato, una figura importante che dà voce alla scala di tutti gli altri intellettuali africani. Le uova si ammucchiano e vanno rotte con logica.

Il presidente americano rappresenta l’impero romano che si è allargato a tutto il pianeta con l’origine sempre a Roma, la barca su cui naviga remando col cazzo del papa. Un negro, Elena è russa, calcolando la boccaloneria delle russe e gli intellettuali l’associazione di significato si identifica con il negro dello zar Pietro del racconto di Puskin che chissà quali sogni ha inserito nelle fantasie dell’orsa. Il racconto di Puskin è incompleto e probabilmente non a caso comunque presenta analogie con l’Otello che Shakespeare ha attinto dalle Hecatommiti di quel pacchista del Cinthio. Shakespeare conosceva molto bene la letteratura italiana di allora, soprattutto Tacito e Boccaccio e la trasferì in Inghilterra plasmando gli intellettuali inglesi e di riflesso il resto del mondo che ne parla la lingua, compreso lo slang di New York.

Si tratta sempre di maiali, il ragionamento torna all’Italia, al Cinthio, poeta praticamente sconosciuto in patria e probabilmente non a caso.

Dal Cinthio in giù la figura del negro geloso che uccide Desdemona scompare, il Boccaccio non ne parla e neppure Dante, non c’è traccia nel mito greco etrusco celtico ma ce ne sono in Tacito, Nerone geloso che uccide Poppea con un calcio.

Il nome Nerone prende la forma del negro Obama e Obama il nome di imperatore o zar?

Una inversione di nome e forma, nominalismo, la figura modificata si esporta in Russia e in America, sembra una trappola ben studiata anche perché chi avrebbe mai immaginato uno zingaro all‘origine?

Ci sono analogie tra il Timone d’Atene di Shakespeare e il Nerone di Tacito, Cinthio o Cinzio sono un appellativo di Apollo, questo ci riporta in Grecia, a Delfi, alla pitonessa e anche all’Italia, la sibilla cumana, ce n’erano due, una per l’oriente e una per l’occidente.

                                Apollo+Pitone(essa)= Oppio+anello+t(essa).

A questo punto entra in gioco l’eroina, la droga e gli spacciatori, i diavoli del ventunesimo secolo…

Dai papaveri di Ovidio è probabile che la morfina, da Morfeo, fosse già conosciuta nell’antichità e che il suo uso fosse praticato a Delfi e negli altri santuari che fungevano anche da ospedali per i suoi effetti analgesici e psicotici.

L’eroina, il diavolo, il peccato, quanti maiali ci sono cascati? l’inversione nome forma di Lucifero, il flash, l’inferno è dolce quando si entra poi diventa schiavitù, lo dice anche l’inquisitore di Dostoevskij, gli uomini sono schiavi che hanno paura della libertà.

Il nome demonizzato dei drogati diventa il do=0 che dà forma di bene alla Bayer ai medici alle medicine ricavate dalla morfina ed a associazioni come il gruppo Abele che sulle tossicodipendenze guadagnano miliardi.

Si tratta sempre di pedine.

Dentro la tonaca della suora una drogata, dentro la tonaca della Russia un’altra drogata? L’eroina, l’origine negata, nel nominalismo il nome è forma, la logica del sogno, un popolo di drogati, centinaia di milioni con a capo dei medici, fascia statistica considerevole, il loro movimento sui pesi sulla bilancia ideale è diventato pesante tanto da condizionare le altre fasce statistiche e vanno considerati per quello che sono, salami appesi ad un tavolo operatorio con l’ottica di quel pacchista del Machiavelli, il fine giustifica i mezzi.

La figura torna al vaso di Pandora e a Torino, i galli di Giulio Cesare alla conquista del mondo, l’origine del linguaggio.

Nel sogno la suora si sdoppia nel papa e in Obama e prende a sandwich Elena, questo discutiamolo in salotto.

                                 La manna.

 

Domenica mattina, la televisione accesa su un pianeta di maiali, la sensazione di nulla, grugniti inintelligibili che parlano a bacchetta, sul podio il totem dirige la mentalità al salumificio, un fiume di bestie incolonnate ai cicli inesorabili della storia.

Lasciamoli andare, gli intellettuali fuori dal fiume sulla riva a guardare.

Nella sala il bidone è alle prese con un vitello intero cotto al forno dal ventre del quale sporgono teste e culi di svariati animali arrostiti, agnelli, maialini, tacchini, ecc. a fianco, su un tripode una damigiana di barbera con un tubo che sporge dal tappo a cui si attacca di tanto in tanto per bere.

La suora ha indossato la tonaca della domenica, bianca e immacolata, il crocefisso pende dal collo con una catena argentata. L’infermiera corpulenta castigata in una divisa ospedaliera con la cuffia, le gambe gonfie e polpose percorse da grosse vene violacee. Elena infilata in un tubino di jersey leggero a fiori provenzali corto e aderente con l’ampia scollatura che mette in risalto tutta la flessuosità del suo corpo.

Su un tavolino vicino alla televisione un vassoio con paste dolci e salate e una pentola con una bottiglia di Cartizze a galleggiare nel ghiaccio.

Il buon umore non si spreca, il senso di inutilità condizionato dalla causa di forza maggiore di un branco di maiali, la pazienza isola e sulla riva il bridge si gioca a carte scoperte…sveglia! Che fare? L’Arte o arte non ha importanza, ribelle a che cosa? La ragione per chi? Il piacere di creare è tutto.

La televisione è accesa su piazza san Pietro in attesa dell’angelus del papa, si vede un settore gremito vicino alle scale del portale dove in primo piano seduta su un gradino c’è una zingara cenciosa con un bambino in braccio che chiede l’elemosina. Di tanto in tanto qualcuno si stacca dal mucchio e le si china davanti per depositare delle monete nella sua ciotola, il tributo ad Attila.

La scena si interrompe per degli spot pubblicitari, in ultimo si vede una schermata di bambini africani nudi e denutriti con la figura di sottofondo di una elegante giornalista che chiede offerte per il terzo mondo quindi ritorna alla zingara cenciosa in san Pietro.

Suor Teresa dice: “E’ arrivato finalmente, pensavo ce l’avesse con me, il rosticciere ha mandato l’aperitivo, aspettavamo proprio lei per iniziare.”

Elena, in un angolo, si sta specchiando lisciandosi i capelli a ciocche con le dita e fa finta di non vedermi. La suora sottovoce dice: “Non dovrebbe vestirsi così, il padrone del mondo si eccita e poi…si vergogna del sogno, non sa cosa fare…”

Elena si volta è ribatte: “Non è vero, io non centro nulla, non ho mai fatto un sogno simile, non so proprio cosa sia.”

“Chi lo ha sognato allora, forse lei?” chiede la suora rivolta all’infermiera.

Quella porge la mani aperte in avanti negando vistosamente col capo, subito dopo il padrone del mondo alza una chiappa dalla sedia, si comprime il ventre ad occhi chiusi e scoreggia rumorosamente.

“Chi lo ha sognato non ha importanza, i sogni sono come le bolle di sapone e una volta tirati fuori puf! scoppiano e non  ci sono più.” Guardo la suora e continuo: “Il sogno è suo, probabilmente oltre ad una ninfomane immaginaria deve essere anche lesbica e prende in prestito i cazzi dei suoi idoli per farsi le belle ragazze, è sicura di avermi detto la verità su Piero? Veramente è sempre stata estranea a quello che gli facevano in ospedale?”

La suora arrossisce e risponde: “Le assicuro che…non so, c’era un potere che agiva dall’esterno, a me dicevano che era una persona spregevole ed andava castigato come meritava, un drogato che portava sulla cattiva strada i giovani, io provavo a difenderlo, a me sembrava il contrario, che fosse lui a essere vittima dei suoi amici e lo dicevo, loro insistevano sulla loro versione e decisi di rimanere estranea e disinteressarmene, non potevo far nulla per aiutarlo e lui in questo non mi aveva dato appigli, era sempre ubriaco, fumava e quando iniziarono a fargli le iniezioni di eroina…lui si lasciò corrompere senza ritegno, era proprio una bestia, io non capivo, quando fece l’overdose rimasi profondamente colpita, come potesse un uomo ridursi in quello stato…”

“Lei però continuava a sognarlo a modo suo e nei suoi sogni era completamente diverso, un servo che accudiva ai lavori umili dell’ospedale e di notte se la faceva con lei di nascosto…”

“Se sa già tutto perché continua a tormentarmi, io sono una suora, non potevo far nulla per fermare quei sogni, avrei voluto, non so proprio che dire. Perché dà tanta importanza a questa cosa?”

“E’ suor Teresa o Margherita che lo chiede? Noi siamo solo parole, Piero è l’autore che sta scrivendo la storia, se la prenda con lui. Ha visto cose che probabilizzano la sua estraneità ma ne è certo solo al cinquanta per cento calcolando l’abito che indossa. Probabilmente le altre volte che venne all’ospedale erano state predisposte proprio per condizionare i suoi sogni e per questo la considera molto importante.”

“Non capisco, lui…era proprio un tipo strano, faceva le cose sempre in un modo che non si poteva mai dire cosa fosse veramente, i medici lo odiavano, dicevano che i figli dei postini non si dovevano comportare così, lui usava tutti, i suoi amici erano ricchi e oltre a fargli le iniezioni lo servivano a tavola, lo scarrozzavano in macchina, gli portavano ogni cosa…aveva anche una corte di puttane che se la facevano con tutti, era, non so…sono passati tanti anni, se non me l‘avesse fatto ricordare, ormai non ci pensavo più e adesso…perché mi considera importante?”

“Una questione di fasce statistiche, la sua ha un seguito molto numeroso, malati intossicati dalle medicine proprio come lei, drogati che credono di non esserlo. Le posso assicurare che Piero la considera una bestia al pari del resto dell’umanità, uno strumento creato per distruggerlo ma gli strumenti sono relativi e come tali possono essere usati al contrario. Piero potrebbe averla strumentalizzata esattamente come i suoi medici. Quando fece l’overdose non venne colpita solo lei ma anche milioni di giovani in tutto il mondo che smisero insieme a lui interrompendo un movimento di opinione che stava prendendo dimensioni gigantesche e questa è la causa per cui…certe cose è meglio non dirle, rimane il problema del male che crede di non essere che dà forma al bene che crede di essere, come i centinaia di milioni di malati immaginari intossicati dalle medicine.”

“Non capisco, vuol dire che è colpa mia?”

“L’effetto non ha colpe, il male sta nella causa, sono millenni che si lavora a questo, il suo abito e le tradizioni tramandate che lo tessono, il peso dei suoi drogati lo hanno fatto gonfiare ed ora appare primario e va ridimensionato fino a farla tornare nuda.”

“Per nostro signore, cosa dice?”

“Non sarà facile, iniziamo con lo stappare quella bottiglia di Cartizze.”

È quasi mezzogiorno, alla televisione lo speaker si è messo a parlare animatamente annunciando la comparsa del papa, le immagini si spostano dalla zingara alla sua finestra e dopo un po’ appare per la benedizione.

Alle prime parole tre piccole mongolfiere si alzano sulla folla che gremisce la piazza e iniziano a scoppiettare. Il papa si ritira mentre lo speaker con la voce allarmata commenta il fatto senza trovare ragioni, sotto la folla dà segni di agitazione ed i palloncini scoppiano sollevando una nuvola bianca da cui inizia a piovere un milione di euro in biglietti da dieci venti e cinquanta.

Per il momento non si sa ancora nulla, lo speaker parla di scherzi indecenti maledicendo i quattro venti, la nuvola si è dissolta e le prime banconote iniziano a toccare la folla, dopo un iniziale sbalordimento si vedono migliaia di mani alzarsi per afferrarle, gruppi spostarsi, grida, gente che salta…il papa torna ad affacciarsi e allunga un braccio per prendere un biglietto, nel farlo si sporge e gli cade la tiara  precipitando al suolo in mondo visione, intanto la piazza è impazzita e tutti pensano solo ad arraffare le banconote che cadono dal cielo, le urla aumentano, la televisione si è ammutolita e continua a trasmettere le immagini.

Nei telegiornali che seguono la notizia si arricchisce di particolari ridondati su tutto il pianeta, i giornalisti sono riusciti a recuperare alcune banconote da venti euro e le mostrano con indignazione, su una faccia per metà, con un inchiostro facilmente cancellabile, è impressa la figura di un culo femminile tornito con un grosso wurstel conficcato nell’ano e sotto lo slogan:

         Perché prenderlo nel culo? Vieni a mangiarlo da noi!


Dietro il logo della Mc Donald.

La notizia assume toni allarmanti, attratti dal passa parola e dalla televisione centinaia di miliaia di romani sono corsi in piazza san Pietro affollando le vie laterali e continuano ad arrivare, tutti guardano per aria imprecando perché piovano altri soldi, a sera iniziano a diradare vociando ma moltissimi rimangono per la notte ancora in attesa.

Seguono dibattiti televisivi sull’argomento, cagnare di giornalisti, interviste a psicologi e criminalisti, indagini della polizia, naturalmente la Mc Donald su mio consiglio si è dichiarata estranea ed a sporto denuncia contro ignoti, lo strascico si protrae per alcuni giorni anche per i molti romani che continuano ad affollare la piazza guardando per aria.

 

Lo studio, un angolino fuori dal mondo, computer acceso sulla pagina bianca, le prime parole iniziano a comporsi una dopo l’altra in un lungo trenino dove a fare da locomotiva è sempre l’ultima parola.

Che idea! La creatività, l’energia agisce al di fuori e quello che appare si muove sul video, parole, lettere, zampette di ragni ognuna nella sua ragnatela filata con logica assoluta.

La pretesa è superba, fuori dal bene e dal male l’assoluto non ha confini come il centro dell’infinito può essere dappertutto e ogni punto in sé è infinito, chi mi ha rifilato il bidone è da cercare ago nel pagliaio, una pagliuzza che punge.

Il male sta nella causa, la causa è nome, il do=O causa dell’ottava, una parola causa del linguaggio, la parola in sé di ogni nota, quel che ogni nota crede di non essere in antitesi naturale a quel che crede di essere, forma di quello che non crede.

Uno zingaro all’origine, un segno il cui codice è negro dello zar con l’immagine di Obama, un bell’enigma, ci vorrebbe Edipo, c’è di mezzo Nerone e la sua corte di puttane, Roma brucia, non è mai esistita, impero sgretolato, senza centro, tutto dall’inizio, un punto qualsiasi.

Il male sta nella causa, la causa è nome, in questo caso la parola zingaro, uno zingaro rat, il topo, il giuda errante, il nome non è forma, la forma o corpo è data dal pregiudizio del popolino, un corpo figurato a priori.

A priori, prima dell’esperienza, bisogna crederci come a Cristo ed al porco Dio, le credenze si associano in un segno puramente nominale la cui forma è un fantasma che viene trascinato nel tempo attraverso il linguaggio tramandato dalla voce o dai libri che a sua volta dà forma a re, imperatori, nobili, borghesi zingari, eccetera, un altro fantasma, uno minore nominale e uno maggiore formale.

La logica è rispettata, lo zingaro è solo un nome con una forma etichettata, un abito, in questo caso uno zingaro giuda, giuda è sinonimo di ebreo, l’ebreo errante, Caino e ancora prima Edipo lancinato dai rimorsi in cerca di perdono, le figure si accavallano nel linguaggio con altri miti e tutti puntano allo rat zinger, al giuda.

Povero cristo…noi siamo solo parole, lo schermo è lo specchio dove si riflette l’autore, la figura del crocefisso ermafrodita, un sogno la cui forma è l’immaginario collettivo sognato da drogati impotenti o da quel che credono di non essere.

In un mondo civile fasce statistiche come gli zingari, donne che chiedono l’elemosina sfruttando la pietà dei bambini non dovrebbero esistere, il modello si esporta alla forma dell’elegante giornalista che chiede soldi alla televisione per i bambini che muoiono di fame, sembra uno schifo ma va guardato fuori dal bene e dal male su un mondo di mentecatti.

Lo zingaro è causa, la causa ha la forma di un effetto la cui causa è precedente nel tempo, la causa può essere impostata all’inizio di ogni ciclo storico, questa causa impostante non è lo zingaro ma il potere che mi ha rifilato il bidone la cui forma rappresentata è l’elegante giornalista. Una matrioska dopo l’altra.

La causa nominata ha la forma di un effetto la cui causa…continuiamo ad aprire sarcofagi, puzza di morte, morti tramandati nei vivi che si perpetuano solo nel linguaggio, fantasmi.

Ci vorrebbe la fighetta di una bella zingarella da leccare fino alle ovaie per mangiargliele crude, un’altra matrioska da aprire, ci vuole pazienza.

Il nome non è forma, è probabile che la parola zingaro sia antecedente la comparsa dei rom in Europa e che questi siano stati creati appositamente per rivestirla di una forma che non è la sua forma originale. Probabilmente centra ancora Arminio e la strage di Teutoburgo oppure il figlio di Arminio.

                                               Zingaro=Ar(m)in(i)o+zg     

Anche in questo caso è probabile che la parola sia trasferita da una forma precedente, comunque sempre riferita ad un morto.

                                               Zingaro=Nigro+za(r)

Zar potrebbe essere una forma latinizzata dal greco zoion, animale,  e intendere la bestia nera che veniva sacrificata in antichità agli dei ipogei ed il cui sangue nutriva i morti facendoli parlare, come avviene nell’Odissea quando Ulisse scende agli inferi. La figura è associata al capro espiatorio, il pharmakov degli ebrei e a Gesù Cristo.

Il discorso procede per associazione, rat in slang è sinonimo di mouse, in questo caso zinger, siamo ad un computer, il mouse e la trascendenza laser,  probabilmente ci sono analogie utili per il confronto, ghetti di zingari o  ebrei che raccolgono le energie dalla scala cromatica per trasferirle in una banca esterna, sempre la solita, che energie raccoglie il mouse?

L’associazione comprende la figa ermafrodita di Cristo, forse centra la storia che si ripete autofecondandosi ma in questo caso ha la cappella recisa, il sangue  che sgorga nutre i morti per farli sognare, l‘origine nel mito, la forma preumana.

Questo discutiamolo col rabbino nel contrappunto che segue.

 

 

 

 

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