Supercabala
Continuavamo a camminare nella
galleria. Sembrava di vedere una luce che annunciava l’uscita ma questa si
spostava allontanandosi davanti ai nostri passi dove speravamo di trovare la
fine del viaggio c’erano ancora grotte riempite di morti mummificati da
ragnatele che li avvolgevano come bachi…la strada ora scorreva nuovamente in
piano, i piedi affondavano nella sabbia che attutiva ogni rumore, procedevamo
verso l’uscita o al contrario stavamo addentrandoci sempre più nelle profondità
del tempo? La nostra intuizione aveva visto una probabilità tra le tante che ci
piaceva poco, non si poteva ancora descrivere a parole, era solo un sentore, un’idea
che covava in un angolino dell’intelligibile ma che comunque ci aveva messo in
allarme. Da quando Esopo aveva smesso di raccontare più nessuno aveva parlato, nel
silenzio ritmato dai nostri passi si poteva udire il frusciare di milioni e
milioni di ombre che ci seguivano strisciando nell’oscurità come larve
dimenticate nel bozzolo della storia.
Il rabbino si era affiancato alla
nostra sinistra, avanzava curvo insaccato nella sua tonaca, la testa china chiusa
nel cappuccio sostenendosi al lungo bastone. Esopo saltellava sulle corte gambe
traendole velocemente dalla sabbia per stare al nostro passo, le sue zecche
fremevano di vita pulsando gonfie di sangue.
Noi avevamo l’abito a brandelli, eravamo
sporchi, impolverati, sentivamo il sudiciume avvolgerci come una seconda pelle,
gli anni, la vecchiaia…in quel momento non ci pensavamo, eravamo senza tempo e
del poco decoro del nostro vestito non ci importava nulla.
Il silenzio era diventato
opprimente, eravamo in un sogno ed il sognatore doveva rivoltarsi nella tomba
dove stava dormendo per continuare a sognare. Forse c’era un collegamento, una
parola all’interno del sogno che rimbalzava dalla mia bocca a quella del
rabbino e di Esopo e questi avevano bisogno di noi, della nostra voce che li
imboccasse per poter parlare a loro volta. Due fantasmi che si nutrivano delle
nostre parole…i pensieri andavano a dar peso all’intuizione, l’idea in embrione
rafforzava la sua immagine tesa alla realizzazione, qualunque cosa fosse il
sognatore doveva averla prevista e questo ci manteneva di buon umore.
Ci voltammo verso il rabbino per
dargli una pacca sulla spalla e dicemmo: “Allegro! Prima o poi troveremo
l’uscita.”
Il prete ci puntò l’unico occhio che
lampeggiava al centro della fronte e rispose: “Da millenni ho dimenticato il
significato della parola allegro, la ragion di stato non permette distrazione, il
nostro viaggio è diretto al gran finale e sono concentratissimo.”
Continuammo dicendo: “Tu hai
bisogno di noi per esistere, sei un nulla!”
Il rabbino rispose: “Tu lo credi,
stai vedendo la necessità dialettica, il contradditore, Satana, come fai a
essere certo di non essere tu? Che cosa sarebbero le tue parole senza di me?
Guarda, è aria che si perde nel nulla…”
Purtroppo era vero, ci dispiaceva
ammetterlo ma era così, il rabbino fuori dalla logica del bene e del male ci
piaceva, a modo suo ragionava e la sua ragione sembrava fatta apposta per
stimolare la nostra al dialogo. Dicemmo: “Non ci importa più di nulla e quello
che dici può sottintendere altro, la ragione è una, la ragione contrapposta
universale, tu di questa ragione hai solo una parte e ti arroghi la parola per
tutte le altre, il tuo peso è sostenuto dalla boccaloneria del popolo e come si
fa a crederti? Il tuo contraddittorio trascina eserciti di morti ed abbiamo
visto la probabilità che ce ne possano essere altri.”
Il rabbino rise sguaiatamente e
disse: “Non ti divertiresti come con me.”
Esopo ci interruppe per dire:
“Reverendo, perdonatemi…non l’ho mai vista comportarsi così, lei è un uomo
santo, che cosa le succede?”
“Taci tu, servo!” lo rimbeccò il
prete.
Esopo chinò la testa umile, per
rincuorarlo gli staccammo una zecca che gli pendeva dal culo incrostata di
merda e la succhiammo in bocca facendo schioccare il palato dicendo: “Stai
allegro anche tu, quando si viaggia fa sempre piacere avere al fianco un
borsellino pieno di soldi.”
Esopo ribattè: “Lei mi capisce, perdonatemi…l’avessi
conosciuta prima, adesso… cosa ne so? Parlate difficile…perdonatemi…io…cosa ne
so?”
Il rabbino continuò con voce
ironica: “A quale contradditorio alludevi?”
Non potevamo dargliela vinta, non
potevamo accettare che avesse ragione ma intanto l’idea cresceva e vedevamo che
l’unica differenza consisteva nel peso della credenza che dava forma al
contradditorio e trasferiva l’universale dentro la sua tonaca. Questo lo
rendeva superiore e noi sapevamo che non lo era, nulla può essere superiore
alla ragione umana!”
Il rabbino ci lesse nei pensieri
e disse: “Forse la volontà di dio…noi siamo i suoi umili servi, ci arroghiamo
il potere ma è lui che agisce in noi e muove le nostre intenzioni.”
Quello che aveva detto aveva
tolto il velo alla probabilità che ora appariva in tutta la sua evidenza, una
credenza sostituiva la ragione umana e questa credenza appariva come il
sinonimo di un significato che si sostituiva alla verità apparendo tale, essendolo
senza esserlo, non riuscivamo ancora ad accettarlo, era contrario ad ogni
ragione eppure era necessario perché diversamente nulla poteva essere. Il
rabbino proseguì il nostro pensiero dicendo: “Che sarebbe dio senza il
diavolo?”
Non cascammo nel trabocchetto e
rispondemmo: “Quello che dici è vero, le tue parole sono probabili, dio o
sognatore comunque è la stessa cosa ma noi guardiamo la storia, leggiamo tra le
sue righe e quello che vediamo sembra una favola di sangue, un macello, un
immenso cimitero che si allarga di secolo in secolo, è…”
“La necessità dialettica.”
Rispose per noi il rabbino, “ti dai arie di sapiente e poi ti comporti come un
giovane barbaro che sogna di salvare l’onore del mondo, vedi solo la lealtà
quando sai di essere il più grande pacchista che esista al mondo…”
Il rabbino aveva gettato la
maschera e non potemmo fare a meno di ribattere: “Questo significa che sai cosa
ti aspetta!”
“A me o a te?”
“Che importanza ha? Ormai è
chiaro che siamo la stessa cosa, la necessità dialettica ci ha divisi ed a questo punto…” gli diedi un’altra pacca
sulla spalla facendolo sobbalzare ed esclamammo: “Chissenefrega! Ormai è chiaro,
questo tunnel è scavato nelle profondità del linguaggio, vediamo terra, sabbia,
morti ma sono solo parole trascinate dalle tradizioni dei popoli, siamo immersi
nella storia, la razza preumana, le usanze delle lucertole e l’oggi dove si
tramandano, sono bestie, non deve essere stato un lavoro facile il tuo. Adesso
sappiamo che tu sai e ci sentiamo decisamente più liberi, facci pure da
contradditorio o se preferisci il contrario, dobbiamo muoverci, uscire da
questo tunnel pieno di morti, l’uccello aveva ucciso il minitauro, questo lo
fece Teseo, principe di Atene, seguendo il filo di una zoccola probabilmente
racchia che poi abbandonò su un’isola deserta dove trovò un dio che la
salvò…quanto è bella giovinezza…”
Le parole non andarono oltre
l’intenzione, sul pavimento di fronte a noi erano apparse delle orme e
riconoscemmo subito le nostre, quelle del rabbino e di Esopo.
Avevamo girato intorno all‘idea, forse
c’era una deviazione e non l’avevamo vista oppure il percorso non aveva
centrato in pieno l’argomento ed era tornato sui propri passi, un labirinto
dialettico. I miei compagni di viaggio erano nuovamente taciti in attesa di una
parola che li imboccasse, dove avevamo sbagliato?
Approfittammo del silenzio per
riordinare le idee.
La figura psicologica del rabbino
stonava con la realtà, forse era quello l’errore, i preti negano la necessità
dialettica demonizzandola e dal male del diavolo prendono la forma di bene, antitesi
naturale. Male come giudizio a priori causa del bene dell’essere dio…questo
rabbino invece dialoga, è intelligente, completamente estraneo all’essere reale,
perché? Le probabilità tornarono al libro di Giza, sia Omer che Efesto furono
vittime di un delitto simulato teso a fargli credere di esserne gli autori, così
è successo a noi, c’era una squadra all’esterno che agiva probabilmente
controllata dal prete che dal male delle vittime prendeva forma di bene, una
trappola, siamo in un sogno, una trappola onirica, il sognatore doveva averlo
previsto e prese le precauzioni necessarie, questo significava che la loro
trappola non funzionò ed in quel momento
ci stavano usando per capire dove stava l’errore…anche questo il
sognatore doveva avere previsto. Il rabbino ci stava aiutando e ci doveva
essere un motivo preciso, forse il senso di colpa non fu montato al posto
giusto oppure siamo noi, nell’averlo accettato al di fuori del bene e del male
che gli abbiamo tolto il suo potere negativo costringendolo, antitesi naturale,
ad aiutarci. Le probabilità erano ambedue valide e ce n’erano altre, una, la più
evidente, seguiva il filo delle rinascite dove il senso di colpa veniva montato
al corpo mortale tramandandosi nel nome immortale attraverso il linguaggio e le
colpe si andavano sommando una sull’altra, vita dopo vita, la nostra vita che poteva quindi venire condizionata dai
fattori esterni che la controllavano. Questo il sognatore doveva averlo
previsto, loro cercavano la precauzione che prese, questo significava che noi
potevamo non essere quello che credevamo di essere ed il nostro comportamento
era mirato ad ingannarci per ingannare
gli avversari. Un’astuzia imprevedibile, un grande pacchista, il rabbino
l’aveva detto usando le nostre parole ma i sensi di colpa esistevano obliati
dalla coscienza ed agivano nascosti nel nostro intelletto in antitesi di bene e
di male con se stessi, loro erano la facciata che ci mascherava, questo non ci
piaceva e nello stesso tempo intuivamo che era meglio non trarre conclusioni
che avremmo potuto rimangiarci in seguito, al di fuori del bene e del male il
rabbino ed i sensi di colpa erano in
nostro potere e dovevamo approfittarne.
Aggiornammo le probabilità al
presente e riprendemmo il cammino ricalcando le nostre orme.
Dicemmo: “Fosti tu a farci
trovare il libro a Giza poi inscenasti la commedia con il mercante per farci
credere di esserne estraneo, fu un trucco per metterci in testa una storia dove
forse non abbiamo nulla a che fare e farci credere di essere un altro!”
“Le parole animarono il rabbino
che rispose a logica: “Forse, è una probabilità, ce ne sono altre…”
“Efesto veniva dalla scuola di
Platone, era uno storico associato ad Aristotele, il filosofo rimase ad Atene
mentre lo storico, sull’onda dell’ideale che Alessandro aveva calcato si
trasferisce in Egitto. L’impero macedone nacque sullo smembramento di quello
ateniese, Alessandro incorporò l’ideale dell’impero sconfitto, fu il peso delle
popolazioni sottomesse ai persiani che permise la conquista, una rivolta
appoggiata dalle falangi macedoni. Alla morte di Alessandro l’impero si smembrò,
Aristotele venne cacciato da Atene ed Efesto accusato di un delitto non suo, Taide
avverte Efesto e gli fa capire dell’esistenza di un complotto ai suoi danni, di
una mafia occulta che burattina i personaggi, per caso ci sei tu dietro quella
storia?”
Il rabbino sogghignò rispondendo:
“Nel libro l’indovino dice ad Omer che solo se non ci chiederemo il perché
delle nostre azioni...”
“Chi scrisse quel libro? Se lo
conosci così bene vuol dire…”
“Tu hai probabilizzato che siamo
la stessa cosa, quindi…”
“Un enigma! Non ci piace affatto l’idea di
essere sempre stati burattinati da te!”
Il rabbino sbuffò, ci puntò
l’occhio facendolo abbagliare di lampi e continuò: “Continui a ragionare come
un giovane barbaro ignorante che non può capire i motivi reconditi della
politica, tu vedi il tuo comodo e non guardi la necessità dialettica, mi deludi,
ti credevo più intelligente…l’alternativa, prova ad immaginare, prova a dirgli che la pacchia è finita, che i
loro soldi non sono mai esistiti e che si devono ammazzare tutti, sai che cosa
risponderebbero?”
Le sue parole erano vere, la
necessità dialettica appariva in tutta la sua evidenza, il resto era
conseguenza, tacemmo, che altro avremmo potuto dire?
Il rabbino sogghignò:
“Soddisfatto?”
“Come una testa sotto la mannaia,
ci deve essere per forza un altro sistema.”
“Forse…in un’altra esistenza.”
L’evidenza ci aveva paralizzati, le
probabilità erano quelle, dentro di noi si agitava il sospetto, annusavamo la
trappola ma non avevamo abbastanza dati per stabilire che lo fosse veramente, il
problema era indirizzato alla vita futura, l’unica alternativa era la legge di
natura, in questa vita si sarebbe stabilita la causa prima del suo inizio, cioè
come applicarla. Se era una trappola era stata prevista, la strada era bloccata
dall’evidenza e causa forza maggiore dovemmo nuovamente ritornare sui nostri
passi.
Riprendemmo il cammino per la
terza volta, la strada aveva penetrato la storia e continuava a girare su se
stessa, dovevamo trovare un’uscita che ci permettesse di continuare, era tempo,
passato e futuro trascendevano dal presente prendendo forma dalla sua realtà
come il rabbino e Esopo dalle nostre parole. Dov’era la porta? Non avevamo idee
in quel momento, unici indizi le nostre orme da ricalcare.
Dicemmo: “Un sogno, facciamo
conto che sia un sogno, il libro di Giza, un sogno da interpretare.”
Il rabbino si animò continuando:
“La cabala studia i sogni come manifestazione della volontà divina, noi abbiamo
una lunga tradizione, Giuseppe svelò i sogni del faraone…”
Lo interrompemmo per non uscire
dal discorso: “Lo facevano anche a Delfi, la pitonessa era sempre drogata, aveva
le visioni e i preti interpretavano le sue parole rendendole intellegibili, gli
antichi greci si attenevano ai deliri di una pazza per qualsiasi decisione, probabilmente
anche i tuoi ebrei…da giovane ci eravamo fatti attrarre dai nomi altisonanti
della cabala, lo Zohar, il libro dello splendore, angeli, diavoli, porte del
paradiso, sigilli, lo abbiamo letto e abbiamo trovato solo rimasticature di
vecchie superstizioni, non soddisfatti abbiamo avvicinato dei cabalisti per
vedere che cosa facevano ed abbiamo trovato pazzi esaltati, fanatici che
passavano la vita a riempire volumi su argomenti come le uova macchiate dai
culi di gallina, in quali giorni si potevano mangiare e cose simili, un
manicomio!”
Il rabbino rise e rispose:
“L’occhio del profano non vede la sacralità dell’atto, il suo contenuto ha poca
importanza. Esiste una cabala per i più ed una per gli iniziati, i gironi più
alti che ruotano intorno al nome santo, tu hai strisciato ai suoi piedi e non
hai visto la vetta.”
Il labirinto era dialettico e
mirava a superare la necessità che dialogava. Ribattemmo: “Dalla base si vede
la vetta! Prima hai citato Sabbatai Zevi, milioni di ebrei per anni a guardare
per aria in attesa del messia che venisse a prenderli su una nuvola per
portarli in Israele, avete fatto ridere il mondo, come si può essere così
pazzi? Comunque quello che hai detto è vero, questo ci riporta al libro, ad
Aristotele, un linguaggio essoterico per i più ed uno esoterico per chi capisce,
la forma universale e la forma del nome, la logica è rispettata in apparenza ma
non nel contenuto. Una verità nominale con in sé una menzogna. Noi abbiamo
capito la necessità del nostro sacrificio ma non siamo certi dell’in sé della
tua logica, tu potresti trasmetterla al futuro così come gli ebrei e la loro
mentalità furono trasmessi al mondo.
Questo significherebbe per noi e per gli artisti immortali un’eterna vita in
catene e capisci che la cosa non ci piace.”
Il rabbino annuì, ci puntò
l’occhio folgorando e disse: “Non ti fidi di te stesso!”
“Non si tratta di sfiducia, il
problema è nel linguaggio, venisti a Giza con la scusa di cercare notizie
sull’origine del tuo popolo e questo ci incuriosì, il libro parlava proprio di
schiavi in fuga al seguito di un faraone ribelle di nome Amoesse che suona con
Mosè, l’origine di questi schiavi è incerta, forse Fenici per l’alfabeto e la
crudeltà del dio che sterminò i primogeniti degli egizi.”
Il rabbino ribattè: “Un sogno
interessante, non trovi?”
“Molto interessante, abbiamo
trovato qualcosa di simile in Tito Livio riguardo i papaveri che crescevano
troppo, tu capisci che solo quando gli ebrei saranno guariti dallo loro
pazzia potremo essere certi di noi
stessi. Quegli schiavi sono gli ebrei di oggi, ingenui, creduloni, semplici…prima
ci accusavi di ragionare come un giovane barbaro, il paragone ci ha colpito e
abbiamo fatto dei confronti, un comportamento standard dei popoli non toccati
dal peccato originale, gli ebrei dovevano essere comunque un popolo grezzo che
durante la schiavitù in Egitto venne condizionato agli usi che si tramandano da
allora e poi trasferito come modello in tutto il mondo. La cabala esoterica
dimostra una lungimiranza impressionante, voi già a quei tempi avevate previsto
tutto, ogni cosa, avevate scritto la storia dei prossimi millenni e per fare
una cosa simile bisogna…”
Il rabbino sogghignò e disse: “La
volontà di dio, solo lui può averlo fatto.”
“Quale dio? In cima alla nuvola a
pisciare in bocca agli ebrei boccaloni? Abbiamo visto un’altra probabilità, potreste
averla copiata da una civiltà prediluviana ricalcandone le orme con qualche
piccola modifica. Siete un’organizzazione perfetta e razionante, la logica
priva di giudizio, pura essenzialità, impostate la causa e poi guidate la
storia falciando le spighe che crescono troppo e indirizzando le esplosioni
demografiche alla causa prima, un circuito perfetto, uno stato che stampa i
soldi dal nulla ed un ghetto di ebrei
che li raccoglie come una dinamo per bruciarli in una banca, nulla al
nulla ed alla fine del ciclo…”
Il rabbino tuonò: “Gli ebrei non
hanno nulla da lamentarsi, noi li abbiamo elevati tra i popoli, son sempre
stati meglio di tutti e morire è solo un passaggio ad una vita migliore per chi
crede in dio.”
“Quello che dici è vero, un
ghetto di dottori, ciabattini e bottegai borghesi in un villaggio di muzic, vuoi
dire che stavano meglio dei servi della gleba, la loro elevazione è possibile
solo così, non ci sembra granchè e questo futuro non ci piace. Comunque questo
per il momento non ha importanza, torniamo al libro. Efesto è aiutato nella
traduzione da uno scrivano del tempio che si chiama Dante, nome insolito per un
egizio, quel pacchista di Dante è considerato il sommo poeta della lingua
italiana, la divina commedia è un lavoro da certosino, tutte quelle rime, quei
doppi sensi, le allusioni, gli enigmi, i giochi di parole, i papi che
zampettano alle fiamme, ci sono molte attrattive, ai suoi tempi il
cristianesimo era ancora in formazione e le antiche credenze pagane dominavano
il linguaggio, fu lui a far entrare la mentalità degli ebrei, Gesù Cristo sulle
orme di Ermes scese all’inferno e trasse Adamo pentito e gli altri patriarchi
della bibbia lasciando il maestro di color che sanno ad obliare nel limbo, i
morti si sostituirono alla ragione umana e le strofe della Comedia erano
imparate a memoria e ripetute su tutte le strade e ridondate da altri scrittori
con altre storie in Europa e nel resto
del mondo influenzando le arti e la mentalità. La tua organizzazione si
avvale di scrittori veramente capaci…”
Ci interrompemmo, capimmo che
erano loro la supercabala, un gioco tra intellettuali…quindi anche Aristotele
lo è, la ragione umana negata e cacciata da Atene alla morte di Alessandro, un
piano perfetto, uno schema che si perpetua nel tempo…attori!
La strada era nuovamente tornata
al punto di partenza, davanti a noi le orme accalcate sembravano formare un
solco, continuavamo a girare intorno a discorsi triti, bisognava rompere con il
passato per buttare i semi.
Riprendemmo dall’inizio. La
parola condizionata dalla necessità dialettica rimbalzava tra noi e il rabbino,
questa parola non è voce, è il suo concetto nel significato astratto, ideale
del parlare, non ha niente a che fare con quello che dicevamo, un’azione, un
ponte sopra il quale il discorso dal soggetto si trasferisce all’oggetto per
ritornare al soggetto evolvendosi in un significato superiore, un salto di
ottava da interpretare e rimandare all‘oggetto per una nuova azione.
Un pendolo che cresce
all‘infinito.
È la ragione umana, uno schema
logico e come tale condizionato dal soggetto e dall’oggetto che parlano, tra
due pettegole inglesi il concetto di parlare sarebbe lo stesso ma con un
diverso contenuto significato. Attori che recitano, la parte, l’universale
delle parti e l’universale della parte, anche questa formata da piccole comari
pettegole…il paragone ci divertiva, sulle vette della filosofia l’idea del
parlare non si discosta dai più umili discorsi. Intuivamo che questa idea di
necessità dialettica è l’assoluto, eterno ed immutabile.
I vermi usciti da Atene avevano
trovato una nuova casa nella Roma di Cicerone. Atene languiva obliata dal
passato sotto la dominazione turca, cos’era rimasto di lei? I suoi antichi
abitanti sterminati o venduti schiavi, chi li sostituì? Il linguaggio è rimasto,
forse sono seppelliti sotto le loro credenze e questa cosa poteva valere anche
per gli ebrei…il discorso rischiava di riportarci nuovamente fuori strada e lo
richiamammo per volgerlo a Esopo che rispose:
“Perdonatemi…voi parlate
difficile, io non so, che importanza ha quello che dite? Perdonatemi…io non ho
studiato però, a me sembra…quando c’era l’uccello la giungla era regolata in
modo perfetto, era la natura, ognuno faceva il suo mestiere e tutto funzionava
a meraviglia, i vecchi venivano mangiati per far posto ai giovani e rinascevano
per mangiarsi quelli che li avevano mangiati ed ogni volta si cresceva, era una
fontana che zampillava perenne, la specie, solo lei contava…perdonatemi…senza
l’uccello, è un altro mondo, un altro…”
Esopo non trovava la parola, l’assoluto
si specchiava nell’universale e la dicemmo noi: “Questo mondo, abbiamo capito, se
non è la specie è l’individuo ed il
resto è pazzia, caos che si crede ordine, un manicomio! Tu sei intelligente, ti
senti in colpa e ti disprezzi, ai tempi dell’uccello dovevi essere molto
importante, il sangue era il vostro oro, le tue zecche dovevano aprire tutte le
porte, forse ti dispiace di averlo lasciato senza soldi?”
“Perdonatemi…lei capisce, come
fa? È un mago! Lui senza di me…nella giungla c’era sempre da negoziare, lo vede
anche lei, certe zecche sono belle grasse, quelle valevano di più, poi avevo le
parti del corpo, ognuna aveva un valore differente, un posto per gli spiccioli
ed uno per i soldoni, lui…specialmente con le femmine, con me poteva fare
quello che voleva ed io ero ben accetto ovunque, perdonatemi, adesso…lo vede
anche lei, sono un servo, i miei soldi non valgono più niente, al sangue preferiscono
la carta, forse…”
“Il significato si è spostato.”
dicemmo per lui. “L’uccello però doveva nutrirti per riempire le zecche di
sangue.”
“Perdonatemi, adesso sembra ma
allora…lui aveva la prima scelta in ogni battuta di caccia, si nutriva solo di
sangue, la sua merda era…aveva un profumo, morbida, soffice, era solo per me e
se ce n’era d’avanzo anche per il
cavallo, era molto nutriente, a me piaceva da…perdonatemi…erano altri tempi, mangiavo
anche la carne delle prede ma la sua merda…aveva delle aperture sui talloni da
cui sfogava, gli leccavo continuamente i piedi, era il mio cibo preferito, adesso…”
Il rabbino intervenne per dire:
“L’adattabilità della specie umana è una cosa sorprendente, li trovi ovunque, tra
i ghiacci estremi dei poli ed i deserti più infocati, in qualunque modo li
imposti loro si adeguano e si comportano di conseguenza.”
Gli mettemmo un braccio sulla
spalla e con voce fraterna gli dicemmo: “Immagina, sarebbe una vita senza sugo,
senza poesia, la stessa storia che si ripete in eterno, sempre gli stessi
personaggi, gli stessi idioti e le stesse avventure, che cosa saresti senza di
noi?”
Il rabbino fece abbagliare
l’occhio e rispose: “Vuoi infinocchiare te stesso? Fatica inutile, non mi
faccio infinocchiare, non puoi uscire da questa storia senza di me!”
“Perché?” gli bisbigliammo
amorevolmente all’orecchio, “Basterebbe cambiarti abito, saresti uno qualsiasi
molto intelligente con cui ci divertiremmo a giocare alla guerra, un grande
stratega necessario perché altrimenti moriremmo di noia, che ti frega del
potere? quello lo sai, va e viene…capisce solo la sua libertà.”
Il rabbino battè il bastone a
terra e continuò, anche lui in tono amorevole: “E ci daremo tanti bacini?…Chi
credi di sfottere? Sono miliardi, vuoi farmi intendere che sono il tuo
facchino? Il tuo cavallo da tiro? Tu non sai quanto sia dolce il potere…”
Non avevamo tempo per dilungarci
in moine e così dicemmo, togliendogli il braccio dal collo:
“Resta da chiarire la questione
di Ixo. “
Riprendemmo ancora dall’inizio, camminavamo
affiancati ruotando intorno ad un’idea che non voleva aprirsi alla
realizzazione, la cabala esoterica aveva lavorato bene, da perfetti negromanti
avevano lasciato solo cadaveri da riesumare, intuivamo che se ricalcavano la
storia il sognatore doveva averlo previsto ed in questo caso non avevamo gioco
a svelare le sue intenzioni. Dietro di
noi ci seguivano schiere sterminate di morti che ad ogni giro si erano
ingrossate, la figura di una troika a tre cavalli che dialogavano ognuno con un
suo seguito di cadaveri con la ragione umana al centro a fare da guida.
“La storia!” esclamammo.
“Potrebbe essere una cosa viva…lo storico non è la storia, la forma dello
storico è la storia, in questo caso Efesto è contrapposto a Ixo che viene
ripetutamente trucidata da altri per farlo apparire colpevole.”
Il rabbino sogghignò dicendo:
“Continui a ragionare come un giovane barbaro che cerca scuse…”
“Può essere!” In quel momento non
avevamo voglia di scherzare, intuivamo che la matassa andava svolta
completamente se volevamo uscire da quel labirinto. Ci rivolgemmo a Esopo
chiedendo: “L’ultima volta che vedesti l’uccello lui stava sbranando una
femmina dei sotterranei, la stava sfigando.”
“Perdonatemi…proprio così, a quei
tempi era normale, l’uccello lo faceva spesso quando ne catturavamo nelle cacce.”
“Però non vedesti come andò a
finire e di quella storia fosti l’unico testimone, come possiamo essere certi
che non menti…i vermi ti strisciavano sui piedi, eri terrorizzato, potresti
aver visto male, forse gliela voleva solo leccare.”
“Perdonatemi…può essere, lo
conoscevo così bene che le posso assicurare… forse, ce n’erano tra le fate che
avevano un flusso molto abbondante e quelle erano risparmiate e le leccava
solamente ma erano casi rari, solitamente…”
“Basta così, abbiamo capito, si
tratta comunque di natura, erano le vostre usanze, l’uccello non sapeva di far
male. Questa storia l’avevi già raccontata al rabbino?”
“Perdonatemi, sì…io, cosa ne so?
lui mi nutriva, era l’unico che mi accettasse, tutti gli altri avevano schifo
di me, se l’avessi conosciuta prima forse…adesso, perdonatemi…che importanza ha?”
“Sfigare la storia? Forse nessuna
ma in un manicomio non si può essere certi di nulla.”
Il rabbino prese la parola al
balzo per ribattere: “Alludi alle comari inglesi? Dalla base si vede la vetta, i
nobili ed il loro modello…” sogghignò a lungo e continuò: “Dove la mentalità di
una portinaia pettegola è nobiltà la vera nobiltà è immondizia, hai visto la
probabilità e ti pare inverosimile, quel che a te appare senza peso per altri
potrebbe averne molto, è così semplice…”
Il rabbino ci leggeva nella mente,
eravamo la stessa cosa che includeva anche Esopo, le sue zecche e la mentalità
delle comari. La probabilità sconcertava per la sua banalità e stentavamo a
crederla possibile eppure era così. Dicemmo: “Erano tutti attori che recitavano
una parte intorno ad Efesto, poteva esserlo anche Ixo.”
Il rabbino rispose: “Credi che
una donna si lascerebbe fare a pezzi veramente per copione? Sarebbe un’attrice
unica al mondo.”
“Forse non sapeva di essere
attrice, le venne fatto credere qualcosa che la fece reagire d’effetto e poi la
uccideste mentre Efesto era inebriato dall’alcol, così tutto quadra…la colpa è
immaginata e si ripete ma ha bisogno di venire continuamente aggiornata e così
a Giza Ixo si ripresentò per venire nuovamente sacrificata. Un sogno, la sua
figura, la sua interpretazione è coperta dalla banalità ma sotto potrebbe non
esserlo, sfigare la storia ha un significato preciso, in questo modo non può
più procreare e quindi potrebbe solo ripetersi…ad uno specchio!“ guardammo il
rabbino con ammirazione esclamando: “Sei proprio geniale, le hai studiate
tutte!” La cosa ci divertiva, l’avversario era astuto al massimo grado e non
potevamo desiderare di meglio, un’antitesi rapportata alla tesi necessaria al
divenire della storia, in questo caso il sognatore sapeva quel che sognava e la
sua previsione era avviata ad un risultato perfetto. Il nostro sacrificio era
il prezzo da pagare.
Continuammo dicendo: “L’uccello
aveva appiccato l’incendio e se era entrato nei sotterranei uccidendo il
minitauro per liberare i vermi doveva avere i suoi motivi, era lo spirito della
natura che agiva in lui. La razza preumana ad un certo punto prese la parola e
diventò umana, probabilmente la sua
azione era diretta a quello e sfigò la regina dei sotterranei perché quella
storia finisse.” Guardammo ancora il rabbino ammirati: “Tu l’hai fatta rivivere
per ricreare quel mondo e ci hai appiccicato il fatto come una colpa che si ripete,
vita dopo vita, ognuna slegata, ognuna condizionata ed ognuna agente nel nostro
inconscio.”
“E’ una probabilità!” continuò il
rabbino. “Diversamente…vuoi andare a dirglielo tu?”
“Una trappola ben studiata ma a
questo penseremo poi, la leggenda si tramanda nel linguaggio, la cabala
esoterica degli intellettuali, fanno credere di essere contro di te e tu li
ardi nei roghi della storia in modo che la loro logica appaia in antitesi, in
questo modo controlli uno e l’altro e la mentalità fa il resto…morti che si
tramandano la loro morte da millenni, il ponte della necessità dialettica
bloccato, le due parti ragionano ognuna per conto suo sdoppiandosi nel bene e
nel male. Questa è la psicologia che condiziona il comportamento, Ixo è una
parola, Ixo suona con Cristo ma ancora prima suonava con figure mitologiche
sempre legate con il culto oracolare degli antichi greci, il che ci riporta a
Delfi, alla pitonessa…quella donna era presa dal popolo ed assunta a voce del
dio, era sempre drogata, col tempo doveva aver bisogno di dosi sempre maggiori
per profetizzare, il suo essere si doveva ridurre in proporzione alle dosi che
assumeva, rimpicciolire in un filo che si rinchiudeva in un vaso, Pasifae
chiusa nella vacca d’argilla, in questo caso Io, la vacca perseguitata dalla
gelosia della regina degli dei, Storia, Clio, Cristo, Ixo, Io, la parola si
ripete inserita in un’altra parola, “io“, pronome personale che ognuno crede di essere, la
gelosia di Era, Er riporta ad Ermes, maschile e femminile si mischiano in un
ermafrodita dialettico che non è le due parti che lo compongono, una creazione
trascendentale, un automa di carne che si sostituisce all’uomo, all’uccello di
fuoco della razza preumana simbolo della fertilità maschile, del sole che
diventa luna, le corna di Io, della vacca sacra, Iside. Questo ci riporta
all’Egitto, ad Efesto ed all’origine degli dei, la vacca innalzata sotto il
monte Sinai mentre Mosè saliva a prendere i comandamenti…”
Il rabbino ci interruppe dicendo:
“Tu sei un cabalista perfetto, muovi i significati dalle parole alle lettere
con maestria, se ti convertissi all’ebraismo li conquisteresti tutti…anche
quelli delle uova macchiate che tu credi pazzi…ci sono figure la cui
interpretazione è privilegio degli eletti.”
Gli rimettemmo il braccio sulla
spalla sussurrando in tono paterno: “Ci hai già fregati tante volte in questo
modo, credi forse che siamo degli idioti? Sono immagini rievocate dal tempo e
trasferite al presente con interpretazioni di comodo che mascherano la verità, Caino
ed il segno che macchia i suoi discendenti, i figli dei contadini, le idee uova
contrassegnate dal male…”
Ci interrompemmo, eravamo la
stessa cosa e forse eravamo noi a credere di essere idioti, il rabbino era
astuto e la partita si giocava su un ponte dialettico al cui centro ardeva la
fiamma della ragione umana, la sua astuzia in antitesi era pari alla nostra e
non ci potevamo permettere di sottovalutarlo, poteva aver previsto le nostre
parole e agito di conseguenza. La cabala esoterica ridonda la sua ragione ad
uno specchio, i suoi libri potevano essere copiati da libri scritti in un’altra
esistenza ed essere stati modificati per farci credere cose non vere. Noi
eravamo quei libri, la nostra forma, anni di studio che ci avevano condizionati
a credere vere cose che non lo erano ed eravamo anche quella ragione, un mondo
sotterraneo che covava condizionando la
nostra mentalità. Il ponte era stato buttato e il dialogo fluiva da una sponda
all’altra ormai inarrestabile, non ci potevamo permettere il lusso di trarre
conclusioni. Ci rivolgemmo ad Esopo chiedendo: “Quella fu l’ultima volta che
vedesti l’uccello. Per quanto tempo aspettasti che uscisse?”
Esopo chinò il capo dicendo:
“Perdonatemi…forse non aspettai abbastanza, mesi, anni…se ne erano andati tutti,
la caverna era abbandonata, le mie zecche languivano e se non le avessi nutrite
mi avrebbero ucciso, perdonatemi…io…”
Ne staccammo una bella grossa che
gli fuoriusciva dall’ombelico pressata da altre e la facemmo scoppiare tra i
denti leccandoci il sangue che aveva macchiato le labbra.
“Forse l’uccello uscì da un’altra
parte.”
“Perdonatemi…può essere, nei
sotterranei si scavava sempre, c’erano gallerie dappertutto, non so, può
essere…”
Ci interrompemmo ancora. Davanti
a noi le orme che calcavamo erano scomparse e la strada era interrotta da un
cumulo di ossa e carne sanguinolenta che si stavano lentamente ricomponendo
in…Ixo.
Apparve in tutta la sua bellezza,
nuda e maestosa, rideva e continuava a crescere, era coricata a gambe aperte, la
sua vagina divenne enorme, occupò tutto lo spazio della galleria e si aprì
facendo uscire un flusso ininterrotto di sangue.
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