Capitolo 5. Supercabala.






            Supercabala

 

 

Continuavamo a camminare nella galleria. Sembrava di vedere una luce che annunciava l’uscita ma questa si spostava allontanandosi davanti ai nostri passi dove speravamo di trovare la fine del viaggio c’erano ancora grotte riempite di morti mummificati da ragnatele che li avvolgevano come bachi…la strada ora scorreva nuovamente in piano, i piedi affondavano nella sabbia che attutiva ogni rumore, procedevamo verso l’uscita o al contrario stavamo addentrandoci sempre più nelle profondità del tempo? La nostra intuizione aveva visto una probabilità tra le tante che ci piaceva poco, non si poteva ancora descrivere a parole, era solo un sentore, un’idea che covava in un angolino dell’intelligibile ma che comunque ci aveva messo in allarme. Da quando Esopo aveva smesso di raccontare più nessuno aveva parlato, nel silenzio ritmato dai nostri passi si poteva udire il frusciare di milioni e milioni di ombre che ci seguivano strisciando nell’oscurità come larve dimenticate nel bozzolo della storia.

Il rabbino si era affiancato alla nostra sinistra, avanzava curvo insaccato nella sua tonaca, la testa china chiusa nel cappuccio sostenendosi al lungo bastone. Esopo saltellava sulle corte gambe traendole velocemente dalla sabbia per stare al nostro passo, le sue zecche fremevano di vita pulsando gonfie di sangue.

Noi avevamo l’abito a brandelli, eravamo sporchi, impolverati, sentivamo il sudiciume avvolgerci come una seconda pelle, gli anni, la vecchiaia…in quel momento non ci pensavamo, eravamo senza tempo e del poco decoro del nostro vestito non ci importava nulla.

Il silenzio era diventato opprimente, eravamo in un sogno ed il sognatore doveva rivoltarsi nella tomba dove stava dormendo per continuare a sognare. Forse c’era un collegamento, una parola all’interno del sogno che rimbalzava dalla mia bocca a quella del rabbino e di Esopo e questi avevano bisogno di noi, della nostra voce che li imboccasse per poter parlare a loro volta. Due fantasmi che si nutrivano delle nostre parole…i pensieri andavano a dar peso all’intuizione, l’idea in embrione rafforzava la sua immagine tesa alla realizzazione, qualunque cosa fosse il sognatore doveva averla prevista e questo ci manteneva di buon umore.

Ci voltammo verso il rabbino per dargli una pacca sulla spalla e dicemmo: “Allegro! Prima o poi troveremo l’uscita.”

Il prete ci puntò l’unico occhio che lampeggiava al centro della fronte e rispose: “Da millenni ho dimenticato il significato della parola allegro, la ragion di stato non permette distrazione, il nostro viaggio è diretto al gran finale e sono concentratissimo.”

Continuammo dicendo: “Tu hai bisogno di noi per esistere, sei un nulla!”

Il rabbino rispose: “Tu lo credi, stai vedendo la necessità dialettica, il contradditore, Satana, come fai a essere certo di non essere tu? Che cosa sarebbero le tue parole senza di me? Guarda, è aria che si perde nel nulla…”

Purtroppo era vero, ci dispiaceva ammetterlo ma era così, il rabbino fuori dalla logica del bene e del male ci piaceva, a modo suo ragionava e la sua ragione sembrava fatta apposta per stimolare la nostra al dialogo. Dicemmo: “Non ci importa più di nulla e quello che dici può sottintendere altro, la ragione è una, la ragione contrapposta universale, tu di questa ragione hai solo una parte e ti arroghi la parola per tutte le altre, il tuo peso è sostenuto dalla boccaloneria del popolo e come si fa a crederti? Il tuo contraddittorio trascina eserciti di morti ed abbiamo visto la probabilità che ce ne possano essere altri.”

Il rabbino rise sguaiatamente e disse: “Non ti divertiresti come con me.”  

Esopo ci interruppe per dire: “Reverendo, perdonatemi…non l’ho mai vista comportarsi così, lei è un uomo santo, che cosa le succede?”

“Taci tu, servo!” lo rimbeccò il prete.

Esopo chinò la testa umile, per rincuorarlo gli staccammo una zecca che gli pendeva dal culo incrostata di merda e la succhiammo in bocca facendo schioccare il palato dicendo: “Stai allegro anche tu, quando si viaggia fa sempre piacere avere al fianco un borsellino pieno di soldi.”

Esopo ribattè: “Lei mi capisce, perdonatemi…l’avessi conosciuta prima, adesso… cosa ne so? Parlate difficile…perdonatemi…io…cosa ne so?”

Il rabbino continuò con voce ironica: “A quale contradditorio alludevi?”

Non potevamo dargliela vinta, non potevamo accettare che avesse ragione ma intanto l’idea cresceva e vedevamo che l’unica differenza consisteva nel peso della credenza che dava forma al contradditorio e trasferiva l’universale dentro la sua tonaca. Questo lo rendeva superiore e noi sapevamo che non lo era, nulla può essere superiore alla ragione umana!”

Il rabbino ci lesse nei pensieri e disse: “Forse la volontà di dio…noi siamo i suoi umili servi, ci arroghiamo il potere ma è lui che agisce in noi e muove le nostre intenzioni.”

Quello che aveva detto aveva tolto il velo alla probabilità che ora appariva in tutta la sua evidenza, una credenza sostituiva la ragione umana e questa credenza appariva come il sinonimo di un significato che si sostituiva alla verità apparendo tale, essendolo senza esserlo, non riuscivamo ancora ad accettarlo, era contrario ad ogni ragione eppure era necessario perché diversamente nulla poteva essere. Il rabbino proseguì il nostro pensiero dicendo: “Che sarebbe dio senza il diavolo?”

Non cascammo nel trabocchetto e rispondemmo: “Quello che dici è vero, le tue parole sono probabili, dio o sognatore comunque è la stessa cosa ma noi guardiamo la storia, leggiamo tra le sue righe e quello che vediamo sembra una favola di sangue, un macello, un immenso cimitero che si allarga di secolo in secolo, è…”

“La necessità dialettica.” Rispose per noi il rabbino, “ti dai arie di sapiente e poi ti comporti come un giovane barbaro che sogna di salvare l’onore del mondo, vedi solo la lealtà quando sai di essere il più grande pacchista che esista al mondo…”

Il rabbino aveva gettato la maschera e non potemmo fare a meno di ribattere: “Questo significa che sai cosa ti aspetta!”

“A me o a te?”

“Che importanza ha? Ormai è chiaro che siamo la stessa cosa, la necessità dialettica ci ha divisi  ed a questo punto…” gli diedi un’altra pacca sulla spalla facendolo sobbalzare ed esclamammo: “Chissenefrega! Ormai è chiaro, questo tunnel è scavato nelle profondità del linguaggio, vediamo terra, sabbia, morti ma sono solo parole trascinate dalle tradizioni dei popoli, siamo immersi nella storia, la razza preumana, le usanze delle lucertole e l’oggi dove si tramandano, sono bestie, non deve essere stato un lavoro facile il tuo. Adesso sappiamo che tu sai e ci sentiamo decisamente più liberi, facci pure da contradditorio o se preferisci il contrario, dobbiamo muoverci, uscire da questo tunnel pieno di morti, l’uccello aveva ucciso il minitauro, questo lo fece Teseo, principe di Atene, seguendo il filo di una zoccola probabilmente racchia che poi abbandonò su un’isola deserta dove trovò un dio che la salvò…quanto è bella giovinezza…”

 

Le parole non andarono oltre l’intenzione, sul pavimento di fronte a noi erano apparse delle orme e riconoscemmo subito le nostre, quelle del rabbino e di Esopo.

Avevamo girato intorno all‘idea, forse c’era una deviazione e non l’avevamo vista oppure il percorso non aveva centrato in pieno l’argomento ed era tornato sui propri passi, un labirinto dialettico. I miei compagni di viaggio erano nuovamente taciti in attesa di una parola che li imboccasse, dove avevamo sbagliato?

Approfittammo del silenzio per riordinare le idee.

La figura psicologica del rabbino stonava con la realtà, forse era quello l’errore, i preti negano la necessità dialettica demonizzandola e dal male del diavolo prendono la forma di bene, antitesi naturale. Male come giudizio a priori causa del bene dell’essere dio…questo rabbino invece dialoga, è intelligente, completamente estraneo all’essere reale, perché? Le probabilità tornarono al libro di Giza, sia Omer che Efesto furono vittime di un delitto simulato teso a fargli credere di esserne gli autori, così è successo a noi, c’era una squadra all’esterno che agiva probabilmente controllata dal prete che dal male delle vittime prendeva forma di bene, una trappola, siamo in un sogno, una trappola onirica, il sognatore doveva averlo previsto e prese le precauzioni necessarie, questo significava che la loro trappola non funzionò ed in quel momento  ci stavano usando per capire dove stava l’errore…anche questo il sognatore doveva avere previsto. Il rabbino ci stava aiutando e ci doveva essere un motivo preciso, forse il senso di colpa non fu montato al posto giusto oppure siamo noi, nell’averlo accettato al di fuori del bene e del male che gli abbiamo tolto il suo potere negativo costringendolo, antitesi naturale, ad aiutarci. Le probabilità erano ambedue valide e ce n’erano altre, una, la più evidente, seguiva il filo delle rinascite dove il senso di colpa veniva montato al corpo mortale tramandandosi nel nome immortale attraverso il linguaggio e le colpe si andavano sommando una sull’altra, vita dopo vita, la nostra vita  che poteva quindi venire condizionata dai fattori esterni che la controllavano. Questo il sognatore doveva averlo previsto, loro cercavano la precauzione che prese, questo significava che noi potevamo non essere quello che credevamo di essere ed il nostro comportamento era mirato ad ingannarci  per ingannare gli avversari. Un’astuzia imprevedibile, un grande pacchista, il rabbino l’aveva detto usando le nostre parole ma i sensi di colpa esistevano obliati dalla coscienza ed agivano nascosti nel nostro intelletto in antitesi di bene e di male con se stessi, loro erano la facciata che ci mascherava, questo non ci piaceva e nello stesso tempo intuivamo che era meglio non trarre conclusioni che avremmo potuto rimangiarci in seguito, al di fuori del bene e del male il rabbino ed i sensi di colpa erano  in nostro potere e dovevamo approfittarne.

Aggiornammo le probabilità al presente e riprendemmo il cammino ricalcando le nostre orme.

Dicemmo: “Fosti tu a farci trovare il libro a Giza poi inscenasti la commedia con il mercante per farci credere di esserne estraneo, fu un trucco per metterci in testa una storia dove forse non abbiamo nulla a che fare e farci credere di essere un altro!”

“Le parole animarono il rabbino che rispose a logica: “Forse, è una probabilità, ce ne sono altre…”

“Efesto veniva dalla scuola di Platone, era uno storico associato ad Aristotele, il filosofo rimase ad Atene mentre lo storico, sull’onda dell’ideale che Alessandro aveva calcato si trasferisce in Egitto. L’impero macedone nacque sullo smembramento di quello ateniese, Alessandro incorporò l’ideale dell’impero sconfitto, fu il peso delle popolazioni sottomesse ai persiani che permise la conquista, una rivolta appoggiata dalle falangi macedoni. Alla morte di Alessandro l’impero si smembrò, Aristotele venne cacciato da Atene ed Efesto accusato di un delitto non suo, Taide avverte Efesto e gli fa capire dell’esistenza di un complotto ai suoi danni, di una mafia occulta che burattina i personaggi, per caso ci sei tu dietro quella storia?”

Il rabbino sogghignò rispondendo: “Nel libro l’indovino dice ad Omer che solo se non ci chiederemo il perché delle nostre azioni...”

“Chi scrisse quel libro? Se lo conosci così bene vuol dire…”

“Tu hai probabilizzato che siamo la stessa cosa, quindi…”

 “Un enigma! Non ci piace affatto l’idea di essere sempre stati burattinati da te!”

Il rabbino sbuffò, ci puntò l’occhio facendolo abbagliare di lampi e continuò: “Continui a ragionare come un giovane barbaro ignorante che non può capire i motivi reconditi della politica, tu vedi il tuo comodo e non guardi la necessità dialettica, mi deludi, ti credevo più intelligente…l’alternativa, prova ad immaginare,  prova a dirgli che la pacchia è finita, che i loro soldi non sono mai esistiti e che si devono ammazzare tutti, sai che cosa risponderebbero?”

Le sue parole erano vere, la necessità dialettica appariva in tutta la sua evidenza, il resto era conseguenza, tacemmo, che altro avremmo potuto dire?

Il rabbino sogghignò: “Soddisfatto?”

“Come una testa sotto la mannaia, ci deve essere per forza un altro sistema.”

“Forse…in un’altra esistenza.”

L’evidenza ci aveva paralizzati, le probabilità erano quelle, dentro di noi si agitava il sospetto, annusavamo la trappola ma non avevamo abbastanza dati per stabilire che lo fosse veramente, il problema era indirizzato alla vita futura, l’unica alternativa era la legge di natura, in questa vita si sarebbe stabilita la causa prima del suo inizio, cioè come applicarla. Se era una trappola era stata prevista, la strada era bloccata dall’evidenza e causa forza maggiore dovemmo nuovamente ritornare sui nostri passi.

 

Riprendemmo il cammino per la terza volta, la strada aveva penetrato la storia e continuava a girare su se stessa, dovevamo trovare un’uscita che ci permettesse di continuare, era tempo, passato e futuro trascendevano dal presente prendendo forma dalla sua realtà come il rabbino e Esopo dalle nostre parole. Dov’era la porta? Non avevamo idee in quel momento, unici indizi le nostre orme da ricalcare.

Dicemmo: “Un sogno, facciamo conto che sia un sogno, il libro di Giza, un sogno da interpretare.”

Il rabbino si animò continuando: “La cabala studia i sogni come manifestazione della volontà divina, noi abbiamo una lunga tradizione, Giuseppe svelò i sogni del faraone…”

Lo interrompemmo per non uscire dal discorso: “Lo facevano anche a Delfi, la pitonessa era sempre drogata, aveva le visioni e i preti interpretavano le sue parole rendendole intellegibili, gli antichi greci si attenevano ai deliri di una pazza per qualsiasi decisione, probabilmente anche i tuoi ebrei…da giovane ci eravamo fatti attrarre dai nomi altisonanti della cabala, lo Zohar, il libro dello splendore, angeli, diavoli, porte del paradiso, sigilli, lo abbiamo letto e abbiamo trovato solo rimasticature di vecchie superstizioni, non soddisfatti abbiamo avvicinato dei cabalisti per vedere che cosa facevano ed abbiamo trovato pazzi esaltati, fanatici che passavano la vita a riempire volumi su argomenti come le uova macchiate dai culi di gallina, in quali giorni si potevano mangiare e cose simili, un manicomio!”

Il rabbino rise e rispose: “L’occhio del profano non vede la sacralità dell’atto, il suo contenuto ha poca importanza. Esiste una cabala per i più ed una per gli iniziati, i gironi più alti che ruotano intorno al nome santo, tu hai strisciato ai suoi piedi e non hai visto la vetta.”

Il labirinto era dialettico e mirava a superare la necessità che dialogava. Ribattemmo: “Dalla base si vede la vetta! Prima hai citato Sabbatai Zevi, milioni di ebrei per anni a guardare per aria in attesa del messia che venisse a prenderli su una nuvola per portarli in Israele, avete fatto ridere il mondo, come si può essere così pazzi? Comunque quello che hai detto è vero, questo ci riporta al libro, ad Aristotele, un linguaggio essoterico per i più ed uno esoterico per chi capisce, la forma universale e la forma del nome, la logica è rispettata in apparenza ma non nel contenuto. Una verità nominale con in sé una menzogna. Noi abbiamo capito la necessità del nostro sacrificio ma non siamo certi dell’in sé della tua logica, tu potresti trasmetterla al futuro così come gli ebrei e la loro mentalità furono  trasmessi al mondo. Questo significherebbe per noi e per gli artisti immortali un’eterna vita in catene e capisci che la cosa non ci piace.”

Il rabbino annuì, ci puntò l’occhio folgorando e disse: “Non ti fidi di te stesso!”

“Non si tratta di sfiducia, il problema è nel linguaggio, venisti a Giza con la scusa di cercare notizie sull’origine del tuo popolo e questo ci incuriosì, il libro parlava proprio di schiavi in fuga al seguito di un faraone ribelle di nome Amoesse che suona con Mosè, l’origine di questi schiavi è incerta, forse Fenici per l’alfabeto e la crudeltà del dio che sterminò i primogeniti degli egizi.”

Il rabbino ribattè: “Un sogno interessante, non trovi?”

“Molto interessante, abbiamo trovato qualcosa di simile in Tito Livio riguardo i papaveri che crescevano troppo, tu capisci che solo quando gli ebrei saranno guariti dallo loro pazzia  potremo essere certi di noi stessi. Quegli schiavi sono gli ebrei di oggi, ingenui, creduloni, semplici…prima ci accusavi di ragionare come un giovane barbaro, il paragone ci ha colpito e abbiamo fatto dei confronti, un comportamento standard dei popoli non toccati dal peccato originale, gli ebrei dovevano essere comunque un popolo grezzo che durante la schiavitù in Egitto venne condizionato agli usi che si tramandano da allora e poi trasferito come modello in tutto il mondo. La cabala esoterica dimostra una lungimiranza impressionante, voi già a quei tempi avevate previsto tutto, ogni cosa, avevate scritto la storia dei prossimi millenni e per fare una cosa simile bisogna…”

Il rabbino sogghignò e disse: “La volontà di dio, solo lui può averlo fatto.”

“Quale dio? In cima alla nuvola a pisciare in bocca agli ebrei boccaloni? Abbiamo visto un’altra probabilità, potreste averla copiata da una civiltà prediluviana ricalcandone le orme con qualche piccola modifica. Siete un’organizzazione perfetta e razionante, la logica priva di giudizio, pura essenzialità, impostate la causa e poi guidate la storia falciando le spighe che crescono troppo e indirizzando le esplosioni demografiche alla causa prima, un circuito perfetto, uno stato che stampa i soldi dal nulla ed un ghetto di ebrei  che li raccoglie come una dinamo per bruciarli in una banca, nulla al nulla ed alla fine del ciclo…”

Il rabbino tuonò: “Gli ebrei non hanno nulla da lamentarsi, noi li abbiamo elevati tra i popoli, son sempre stati meglio di tutti e morire è solo un passaggio ad una vita migliore per chi crede in dio.”

“Quello che dici è vero, un ghetto di dottori, ciabattini e bottegai borghesi in un villaggio di muzic, vuoi dire che stavano meglio dei servi della gleba, la loro elevazione è possibile solo così, non ci sembra granchè e questo futuro non ci piace. Comunque questo per il momento non ha importanza, torniamo al libro. Efesto è aiutato nella traduzione da uno scrivano del tempio che si chiama Dante, nome insolito per un egizio, quel pacchista di Dante è considerato il sommo poeta della lingua italiana, la divina commedia è un lavoro da certosino, tutte quelle rime, quei doppi sensi, le allusioni, gli enigmi, i giochi di parole, i papi che zampettano alle fiamme, ci sono molte attrattive, ai suoi tempi il cristianesimo era ancora in formazione e le antiche credenze pagane dominavano il linguaggio, fu lui a far entrare la mentalità degli ebrei, Gesù Cristo sulle orme di Ermes scese all’inferno e trasse Adamo pentito e gli altri patriarchi della bibbia lasciando il maestro di color che sanno ad obliare nel limbo, i morti si sostituirono alla ragione umana e le strofe della Comedia erano imparate a memoria e ripetute su tutte le strade e ridondate da altri scrittori con altre storie in Europa e nel resto  del mondo influenzando le arti e la mentalità. La tua organizzazione si avvale di scrittori veramente capaci…”

Ci interrompemmo, capimmo che erano loro la supercabala, un gioco tra intellettuali…quindi anche Aristotele lo è, la ragione umana negata e cacciata da Atene alla morte di Alessandro, un piano perfetto, uno schema che si perpetua nel tempo…attori!

La strada era nuovamente tornata al punto di partenza, davanti a noi le orme accalcate sembravano formare un solco, continuavamo a girare intorno a discorsi triti, bisognava rompere con il passato per buttare i semi.

 

Riprendemmo dall’inizio. La parola condizionata dalla necessità dialettica rimbalzava tra noi e il rabbino, questa parola non è voce, è il suo concetto nel significato astratto, ideale del parlare, non ha niente a che fare con quello che dicevamo, un’azione, un ponte sopra il quale il discorso dal soggetto si trasferisce all’oggetto per ritornare al soggetto evolvendosi in un significato superiore, un salto di ottava da interpretare e rimandare all‘oggetto per una nuova azione. 

Un pendolo che cresce all‘infinito.

È la ragione umana, uno schema logico e come tale condizionato dal soggetto e dall’oggetto che parlano, tra due pettegole inglesi il concetto di parlare sarebbe lo stesso ma con un diverso contenuto significato. Attori che recitano, la parte, l’universale delle parti e l’universale della parte, anche questa formata da piccole comari pettegole…il paragone ci divertiva, sulle vette della filosofia l’idea del parlare non si discosta dai più umili discorsi. Intuivamo che questa idea di necessità dialettica è l’assoluto, eterno ed immutabile.

I vermi usciti da Atene avevano trovato una nuova casa nella Roma di Cicerone. Atene languiva obliata dal passato sotto la dominazione turca, cos’era rimasto di lei? I suoi antichi abitanti sterminati o venduti schiavi, chi li sostituì? Il linguaggio è rimasto, forse sono seppelliti sotto le loro credenze e questa cosa poteva valere anche per gli ebrei…il discorso rischiava di riportarci nuovamente fuori strada e lo richiamammo per volgerlo a Esopo che rispose:

“Perdonatemi…voi parlate difficile, io non so, che importanza ha quello che dite? Perdonatemi…io non ho studiato però, a me sembra…quando c’era l’uccello la giungla era regolata in modo perfetto, era la natura, ognuno faceva il suo mestiere e tutto funzionava a meraviglia, i vecchi venivano mangiati per far posto ai giovani e rinascevano per mangiarsi quelli che li avevano mangiati ed ogni volta si cresceva, era una fontana che zampillava perenne, la specie, solo lei contava…perdonatemi…senza l’uccello, è un altro mondo, un altro…”

Esopo non trovava la parola, l’assoluto si specchiava nell’universale e la dicemmo noi: “Questo mondo, abbiamo capito, se non è la specie è l’individuo  ed il resto è pazzia, caos che si crede ordine, un manicomio! Tu sei intelligente, ti senti in colpa e ti disprezzi, ai tempi dell’uccello dovevi essere molto importante, il sangue era il vostro oro, le tue zecche dovevano aprire tutte le porte, forse ti dispiace di averlo lasciato senza soldi?”

“Perdonatemi…lei capisce, come fa? È un mago! Lui senza di me…nella giungla c’era sempre da negoziare, lo vede anche lei, certe zecche sono belle grasse, quelle valevano di più, poi avevo le parti del corpo, ognuna aveva un valore differente, un posto per gli spiccioli ed uno per i soldoni, lui…specialmente con le femmine, con me poteva fare quello che voleva ed io ero ben accetto ovunque, perdonatemi, adesso…lo vede anche lei, sono un servo, i miei soldi non valgono più niente, al sangue preferiscono la carta, forse…”

“Il significato si è spostato.” dicemmo per lui. “L’uccello però doveva nutrirti per riempire le zecche di sangue.”

“Perdonatemi, adesso sembra ma allora…lui aveva la prima scelta in ogni battuta di caccia, si nutriva solo di sangue, la sua merda era…aveva un profumo, morbida, soffice, era solo per me e se ce n’era d’avanzo anche per  il cavallo, era molto nutriente, a me piaceva da…perdonatemi…erano altri tempi, mangiavo anche la carne delle prede ma la sua merda…aveva delle aperture sui talloni da cui sfogava, gli leccavo continuamente i piedi, era il mio cibo preferito, adesso…”

Il rabbino intervenne per dire: “L’adattabilità della specie umana è una cosa sorprendente, li trovi ovunque, tra i ghiacci estremi dei poli ed i deserti più infocati, in qualunque modo li imposti loro si adeguano e si comportano di conseguenza.”

Gli mettemmo un braccio sulla spalla e con voce fraterna gli dicemmo: “Immagina, sarebbe una vita senza sugo, senza poesia, la stessa storia che si ripete in eterno, sempre gli stessi personaggi, gli stessi idioti e le stesse avventure, che cosa saresti senza di noi?”

Il rabbino fece abbagliare l’occhio e rispose: “Vuoi infinocchiare te stesso? Fatica inutile, non mi faccio infinocchiare, non puoi uscire da questa storia senza di me!”

“Perché?” gli bisbigliammo amorevolmente all’orecchio, “Basterebbe cambiarti abito, saresti uno qualsiasi molto intelligente con cui ci divertiremmo a giocare alla guerra, un grande stratega necessario perché altrimenti moriremmo di noia, che ti frega del potere? quello lo sai, va e viene…capisce solo la sua libertà.”

Il rabbino battè il bastone a terra e continuò, anche lui in tono amorevole: “E ci daremo tanti bacini?…Chi credi di sfottere? Sono miliardi, vuoi farmi intendere che sono il tuo facchino? Il tuo cavallo da tiro? Tu non sai quanto sia dolce il potere…”

Non avevamo tempo per dilungarci in moine e così dicemmo, togliendogli il braccio dal collo:

“Resta da chiarire la questione di Ixo. “

 

Riprendemmo ancora dall’inizio, camminavamo affiancati ruotando intorno ad un’idea che non voleva aprirsi alla realizzazione, la cabala esoterica aveva lavorato bene, da perfetti negromanti avevano lasciato solo cadaveri da riesumare, intuivamo che se ricalcavano la storia il sognatore doveva averlo previsto ed in questo caso non avevamo gioco a svelare le sue intenzioni.  Dietro di noi ci seguivano schiere sterminate di morti che ad ogni giro si erano ingrossate, la figura di una troika a tre cavalli che dialogavano ognuno con un suo seguito di cadaveri con la ragione umana al centro a fare da guida.

“La storia!” esclamammo. “Potrebbe essere una cosa viva…lo storico non è la storia, la forma dello storico è la storia, in questo caso Efesto è contrapposto a Ixo che viene ripetutamente trucidata da altri per farlo apparire colpevole.”

Il rabbino sogghignò dicendo: “Continui a ragionare come un giovane barbaro che cerca scuse…”

“Può essere!” In quel momento non avevamo voglia di scherzare, intuivamo che la matassa andava svolta completamente se volevamo uscire da quel labirinto. Ci rivolgemmo a Esopo chiedendo: “L’ultima volta che vedesti l’uccello lui stava sbranando una femmina dei sotterranei, la stava sfigando.”

“Perdonatemi…proprio così, a quei tempi era normale, l’uccello lo faceva spesso quando ne catturavamo nelle cacce.”

“Però non vedesti come andò a finire e di quella storia fosti l’unico testimone, come possiamo essere certi che non menti…i vermi ti strisciavano sui piedi, eri terrorizzato, potresti aver visto male, forse gliela voleva solo leccare.”

“Perdonatemi…può essere, lo conoscevo così bene che le posso assicurare… forse, ce n’erano tra le fate che avevano un flusso molto abbondante e quelle erano risparmiate e le leccava solamente ma erano casi rari, solitamente…”

“Basta così, abbiamo capito, si tratta comunque di natura, erano le vostre usanze, l’uccello non sapeva di far male. Questa storia l’avevi già raccontata al rabbino?”

“Perdonatemi, sì…io, cosa ne so? lui mi nutriva, era l’unico che mi accettasse, tutti gli altri avevano schifo di me, se l’avessi conosciuta prima forse…adesso,  perdonatemi…che importanza ha?”

“Sfigare la storia? Forse nessuna ma in un manicomio non si può essere certi di nulla.”

Il rabbino prese la parola al balzo per ribattere: “Alludi alle comari inglesi? Dalla base si vede la vetta, i nobili ed il loro modello…” sogghignò a lungo e continuò: “Dove la mentalità di una portinaia pettegola è nobiltà la vera nobiltà è immondizia, hai visto la probabilità e ti pare inverosimile, quel che a te appare senza peso per altri potrebbe averne molto, è così semplice…”

Il rabbino ci leggeva nella mente, eravamo la stessa cosa che includeva anche Esopo, le sue zecche e la mentalità delle comari. La probabilità sconcertava per la sua banalità e stentavamo a crederla possibile eppure era così. Dicemmo: “Erano tutti attori che recitavano una parte intorno ad Efesto, poteva esserlo anche Ixo.”

Il rabbino rispose: “Credi che una donna si lascerebbe fare a pezzi veramente per copione? Sarebbe un’attrice unica al mondo.”

“Forse non sapeva di essere attrice, le venne fatto credere qualcosa che la fece reagire d’effetto e poi la uccideste mentre Efesto era inebriato dall’alcol, così tutto quadra…la colpa è immaginata e si ripete ma ha bisogno di venire continuamente aggiornata e così a Giza Ixo si ripresentò per venire nuovamente sacrificata. Un sogno, la sua figura, la sua interpretazione è coperta dalla banalità ma sotto potrebbe non esserlo, sfigare la storia ha un significato preciso, in questo modo non può più procreare e quindi potrebbe solo ripetersi…ad uno specchio!“ guardammo il rabbino con ammirazione esclamando: “Sei proprio geniale, le hai studiate tutte!” La cosa ci divertiva, l’avversario era astuto al massimo grado e non potevamo desiderare di meglio, un’antitesi rapportata alla tesi necessaria al divenire della storia, in questo caso il sognatore sapeva quel che sognava e la sua previsione era avviata ad un risultato perfetto. Il nostro sacrificio era il prezzo da pagare.

Continuammo dicendo: “L’uccello aveva appiccato l’incendio e se era entrato nei sotterranei uccidendo il minitauro per liberare i vermi doveva avere i suoi motivi, era lo spirito della natura che agiva in lui. La razza preumana ad un certo punto prese la parola e diventò umana, probabilmente  la sua azione era diretta a quello e sfigò la regina dei sotterranei perché quella storia finisse.” Guardammo ancora il rabbino ammirati: “Tu l’hai fatta rivivere per ricreare quel mondo e ci hai appiccicato il fatto come una colpa che si ripete, vita dopo vita, ognuna slegata, ognuna condizionata ed ognuna agente nel nostro inconscio.”

“E’ una probabilità!” continuò il rabbino. “Diversamente…vuoi andare a dirglielo tu?”

“Una trappola ben studiata ma a questo penseremo poi, la leggenda si tramanda nel linguaggio, la cabala esoterica degli intellettuali, fanno credere di essere contro di te e tu li ardi nei roghi della storia in modo che la loro logica appaia in antitesi, in questo modo controlli uno e l’altro e la mentalità fa il resto…morti che si tramandano la loro morte da millenni, il ponte della necessità dialettica bloccato, le due parti ragionano ognuna per conto suo sdoppiandosi nel bene e nel male. Questa è la psicologia che condiziona il comportamento, Ixo è una parola, Ixo suona con Cristo ma ancora prima suonava con figure mitologiche sempre legate con il culto oracolare degli antichi greci, il che ci riporta a Delfi, alla pitonessa…quella donna era presa dal popolo ed assunta a voce del dio, era sempre drogata, col tempo doveva aver bisogno di dosi sempre maggiori per profetizzare, il suo essere si doveva ridurre in proporzione alle dosi che assumeva, rimpicciolire in un filo che si rinchiudeva in un vaso, Pasifae chiusa nella vacca d’argilla, in questo caso Io, la vacca perseguitata dalla gelosia della regina degli dei, Storia, Clio, Cristo, Ixo, Io, la parola si ripete inserita in un’altra parola, “io“,  pronome personale che ognuno crede di essere, la gelosia di Era, Er riporta ad Ermes, maschile e femminile si mischiano in un ermafrodita dialettico che non è le due parti che lo compongono, una creazione trascendentale, un automa di carne che si sostituisce all’uomo, all’uccello di fuoco della razza preumana simbolo della fertilità maschile, del sole che diventa luna, le corna di Io, della vacca sacra, Iside. Questo ci riporta all’Egitto, ad Efesto ed all’origine degli dei, la vacca innalzata sotto il monte Sinai mentre Mosè saliva a prendere i comandamenti…”

Il rabbino ci interruppe dicendo: “Tu sei un cabalista perfetto, muovi i significati dalle parole alle lettere con maestria, se ti convertissi all’ebraismo li conquisteresti tutti…anche quelli delle uova macchiate che tu credi pazzi…ci sono figure la cui interpretazione è privilegio degli eletti.”

Gli rimettemmo il braccio sulla spalla sussurrando in tono paterno: “Ci hai già fregati tante volte in questo modo, credi forse che siamo degli idioti? Sono immagini rievocate dal tempo e trasferite al presente con interpretazioni di comodo che mascherano la verità, Caino ed il segno che macchia i suoi discendenti, i figli dei contadini, le idee uova contrassegnate dal male…”

Ci interrompemmo, eravamo la stessa cosa e forse eravamo noi a credere di essere idioti, il rabbino era astuto e la partita si giocava su un ponte dialettico al cui centro ardeva la fiamma della ragione umana, la sua astuzia in antitesi era pari alla nostra e non ci potevamo permettere di sottovalutarlo, poteva aver previsto le nostre parole e agito di conseguenza. La cabala esoterica ridonda la sua ragione ad uno specchio, i suoi libri potevano essere copiati da libri scritti in un’altra esistenza ed essere stati modificati per farci credere cose non vere. Noi eravamo quei libri, la nostra forma, anni di studio che ci avevano condizionati a credere vere cose che non lo erano ed eravamo anche quella ragione, un mondo sotterraneo che  covava condizionando la nostra mentalità. Il ponte era stato buttato e il dialogo fluiva da una sponda all’altra ormai inarrestabile, non ci potevamo permettere il lusso di trarre conclusioni. Ci rivolgemmo ad Esopo chiedendo: “Quella fu l’ultima volta che vedesti l’uccello. Per quanto tempo aspettasti che uscisse?”

Esopo chinò il capo dicendo: “Perdonatemi…forse non aspettai abbastanza, mesi, anni…se ne erano andati tutti, la caverna era abbandonata, le mie zecche languivano e se non le avessi nutrite mi avrebbero ucciso, perdonatemi…io…”

Ne staccammo una bella grossa che gli fuoriusciva dall’ombelico pressata da altre e la facemmo scoppiare tra i denti leccandoci il sangue che aveva macchiato le labbra.

“Forse l’uccello uscì da un’altra parte.”

“Perdonatemi…può essere, nei sotterranei si scavava sempre, c’erano gallerie dappertutto, non so, può essere…”   

Ci interrompemmo ancora. Davanti a noi le orme che calcavamo erano scomparse e la strada era interrotta da un cumulo di ossa e carne sanguinolenta che si stavano lentamente ricomponendo in…Ixo.

Apparve in tutta la sua bellezza, nuda e maestosa, rideva e continuava a crescere, era coricata a gambe aperte, la sua vagina divenne enorme, occupò tutto lo spazio della galleria e si aprì facendo uscire un flusso ininterrotto di sangue.

Nessun commento:

Posta un commento