Capitolo 2. L'ultima maschera.








        
     


                                     L’ultima maschera

 

Un attore che recita a braccio costretto a cambiare continuamente ruolo agendo dentro tutte le maschere della commedia. Finito lo spettacolo si ritira nel suo camerino appartato ed esce dalle parti spogliandosi nudo…che cos’è?

Cerco di immaginarlo per comprenderlo nell’idea mentre vado ad aprire. Nella sala il bidone dorme, dalla sua gola prorompe un russare fragoroso, non deve aver sentito il campanello. Fuori dalla finestra si vede il nuovo giorno che sta per sorgere intanto il ragionamento continua, se non è attore è autore ma l’autore, in questo caso, come fa a sapere di non recitare?

La domanda è imbarazzante, per non disturbare il bidone apro dalla porta di servizio.

Nel corridoio c’è un piccolo drappello, una suora nera col tricorno grassa e squadrata, una bianca con il velo magra e filiforme, due infermiere con la cuffia di mezza età piuttosto nerborute, un prete anziano, grigio e stempiato con aspersorio ed acquasantiera ed un chierichetto alto e muscoloso, curvo come un gorilla con un grosso crocifisso nodoso in mano.

Non deve essere proprio così ma per presupposto facciamo che lo sia.

Sono piazzati davanti alla porta principale, per non sembrare offensivo fischio e li invito a spostarsi. La suora nera procedendo gli altri si piazza davanti e chiede:

“È lei che ha chiesto assistenza?”

“Sì, è davvero un caso eccezionale, ho in casa il padrone del mondo, me lo hanno lasciato per poche ore ma non sono ancora venuti a prenderlo…”

La suora mi interrompe dicendo: “Non dica nulla, ci hanno telefonato dal Vaticano, ho parlato con il papa in persona, sappiamo tutto. Il nostro ordine mi ha inviata per gli accertamenti di prassi, noi abbiamo un regolamento da rispettare e prima di intervenire dobbiamo essere sicure che ogni cosa corrisponda ai requisiti necessari.”

“Capisco.” rispondo, “ogni Arte ha le sue cerimonie, noi ad esempio fumiamo canne e beviamo birra, una volta usavo il whisky, quando ero giovane.”

“Non faccia lo spiritoso!” ribatte la suora imperturbata.

Ruminando in sottofondo insospettito da quell’inaspettato interesse del papa li invito ad entrare.

Per primi passano il prete con il gorilla per benedire il salottino d’ingresso, quindi tutte le altre.

La suora siede al tavolino che appare lì per lì, estrae dei fogli da una cartella, mi chiede le generalità ed inizia a compilare un modulo.

“Lei vive solo?”

“Sì, sono tutto qui.”

“La devo avvertire che noi non permettiamo interferenze con i metodi che adottiamo per curare i malati, se lei accetta le nostre clausole dovrà astenersi da qualsiasi intervento in proposito.”

“Non si preoccupi, gli scrittori sono buoni psicologi, non ho bisogno di conoscere ne il perché ne il percome.”

Termina di compilare chiedendomi di rispondere ad altre domande cretine, mi fa versare cinquemila euro per cauzione della prima settimana, firmo quindi si alza e dice: “Ora ci mostri il paziente.”

“L’ho lasciato che dormiva, è grosso, forse verranno a prenderlo tra poco ma non so come faranno, non esce dalla porta, per quello lo hanno lasciato, fate piano, se si sveglia…”

Apro la porta della sala. Una zaffata di merda precede la vista, il bidone si è appena svegliato, seduto su se stesso si sta stropicciando gli occhi cercando di guardare nella nostra direzione.

Il prete, velocemente, benedice la sala spruzzando acqua in ogni direzione quindi si ritira per far passare la suora nera.

Questa decisa si piazza davanti al bidone a braccia incrociate e facendo dondolare il tricorno chiede: “Ti sei svegliato pigrone?”

Il bidone, con voce impacciata, risponde: “Madre, è venuta?…non sono pigro, lo sa, è che…che piacere vederla…”

La suora continua: “Guarda come ti sei ridotto, sei tutto immerdato, adesso chi ti pulirà?”

“Madre…lei lo sa, sono così…se potessi…”

“Non dire niente, tutte scuse, non cambi mai, un fracassone ma adesso sono venuta e penserò io a te, lo sai che ti voglio bene.”

“Madre, anch’io le voglio bene ma adesso mi è venuta fame, ha portato la colazione?”

“Maleducato! Pensi sempre e solo a mangiare, prima si dicono le orazioni e poi mangerai.”

“Madre…un bue coi maialini, me lo ha promesso, io…”

“Cos’è questa storia del bue?” mi chiede la suora tornata nell’antisala.”

“Un’idea, lo porteranno a mezzogiorno, se vuole può favorire anche lei.”

“Nessun bue” strilla stizzita.

Il bidone si alza in piedi in tutta la sua potenza e ringhia minaccioso: “Come sarebbe nessun bue? Lo voglio ed anche i maialini!”

La suora lo guarda, rimane qualche secondo pensosa e dice: “va bene, per questa volta…”  poi mi artiglia un braccio e mi trascina lontano dicendo sottovoce: “D’ora in avanti saremo noi a decidere del suo vitto, se lei vuole la nostra assistenza noi…”

La suora continua a parlare, intanto mentalmente prendo nota del fatto che anche loro, posta la necessità, agiscono per effetto e ne deduco che sarà facile intenderci.

Finito il sermone si fa indicare dov’è il bagno e la cucina, li fa benedire dal prete, si inginocchia con le altre in un angolo in disparte di fronte al crocifisso facendosi benedire a loro volta quindi il prete ed il gorilla escono di scena e suore ed infermiere entrano nella sala chiudendo la porta.

 

Il computer passa, ovest apre di uno quadri, in mano ho asso settimo con re e fante a cuori, re terzo a quadri, regina terza a picche e nessun fiori, dichiaro uno cuori, uno sopra l’apertura per la licitazione che vuol dire che ho un bel gioco. Est passa, il socio annuncia uno senza di passaggio per dire che non ha niente, ovest salta a due senza a cui rispondo con un tre cuori. In attesa della licita di est ragiono: “Questa smazzata è nuova, le carte interessanti, divertiamoci. Ho passato la notte insonne e non ho sonno, forse dormivo sognando di stare sveglio. In casa non bastava il padrone del mondo, adesso ci sono anche le suore, si inizia e poi non si sa mai dove si andrà a finire, che me ne faccio? Le probabilità mancano d’esperienza, non ne ho mai studiata una da vicino. Stando a quel che scrive quel galletto di Stendhal nei conventi un tempo ci chiudevano le figlie in esubero dei ricchi e ne succedevano di cotte e di crude, ne parla anche il Boccaccio ed anche lui non scherza…”

Est dichiara quattro fiori, deve avere il palo, il mio socio passa ed ovest va a cinque fiori. Cinque fiori sono tante, in mano non ne ho neanche una, se passo gli lascio il gioco e perdo una partita interessante, se dichiaro rischio di andare sotto, dichiaro cinque cuori, est ed il socio passano e…

“Ci sono anologie con il culto di Vesta degli antichi romani, in questo caso custodivano il fuoco e se rompevano il voto di castità venivano seppellite vive, il mito ha origini antiche, la Estia dei greci e le varie personificazioni della dea madre tutte in qualche modo collegate al culto ctonio di Persefone ed alla pitonessa di Delfi.

Scendendo nel tempo le congregazioni religiose femminili non praticavano la castità anzi, le menadi di Dioniso si divertivano a sbranare uomini e bestie.

Siamo in un manicomio, di certo sono pazze, le informazioni della storia trascinano le incertezze delle manipolazioni di potere e non ci si può fare affidamento, nel linguaggio tramandato si trova di tutto, dalla mona-ca alla sfiga, i filmini porno sguazzano sulle storie di suore porche e c’è l’abitudine di toccarsi i coglioni quando se ne incontra una, chissà da quanti secoli.”

Est dichiara sei fiori, non è possibile, ho quattordici punti, non può avere gioco per un mini slam. Sta bleffando per farmi alzare! Nell’ultima partita mi sono fatto trascinare dall’impeto di voler giocare a qualsiasi costo da protagonista, forse è proprio quello che si aspetta il computer, se dichiaro sei cuori è certo che vado sotto, ho due assi scoperti, se passo invece ho buone probabilità di vincere, perché no? Lasciamo giocare i sei fiori. Contro, ovest ed il socio passano, est surcontra…

“La partita è ancora aperta, nella realtà ci deve essere di tutto un po’, un mondo misterioso quello dei religiosi, l’abito, la faccia apparente e quel che c’è sotto, la ragione vede grandi pacchisti far man bassa tra i bischeri e la menzogna di base della logica nominalista, se il nome è forma l’abito è corpo. Noi siamo solo parole formate da lettere, nessun pregiudizio, i pazzi sono una specie a sé nella natura.

Un grande peccato inconfessabile alla base che prende corpo nel pensiero potrebbe essere probabile, storie di sesso chi lo sa? Le suore che si vedono in giro sono poco appetitose e la psicologia si muove dall’essere bene della faccia all’essere male del culo, personalità multiple che convivono nei sogni all’ombra del crocefisso seminudo e del disprezzo per la donna tramandato dalla bibbia e per estensione da tutte le altre religioni.

Il fuoco di Vesta è un segno interessante, la vesta talare, il fuoco consuma l‘energia prodotta dalla trasformazione del cibo, potrebbe essere qualcosa del genere, la vita intendo.

Non è da sottovalutare l’analogia con l’organizzazione degli antichi bordelli legati al culto di Venere di cui sopravvive un esempio nelle bagasce di Kioto, in questo caso la chiesa potrebbe essere vista come un grande casino sapientemente camuffato di feticisti amanti del cazzo di cristo ma non si può fare di ogni erba un fascio.”

Passo, la tentazione di dichiarare sei cuori è stata forte ma ho saputo resistere, questa volta lo frego stoccazzo di computer.

Non ho tempo per la giocata, suonano al campanello, dev’essere il rosticciere, andiamo a vedere.

 

È mattino, dalle finestre aperte della sala si intravvede un cielo color latte costellato da nuvole plumbee come macchie di caffè, l’aria profuma di disinfettante, il padrone del mondo è stato lavato e rivestito e siede su uno sgabello improvvisato sui pezzi del sofà sbavando verso la porta. Ogni cosa nella stanza è pulita ed in ordine, la piscina è coperta da un paravento, le infermiere stanno prendendo il caffè in cucina, la suora bianca è affacciata al balcone e quella nera è seduta al tavolo a scrivere su un taccuino.

Vado direttamente ad aprire, fuori c’è il commesso della rosticceria con un carrello fumante di arrosti, ormai pratico entra e lo spinge nella stanza.

La suora nera si alza strillando: “Cos’è questa storia?”

“La colazione.” risponde il commesso.

“Quale colazione?” continua la suora, “la stavo ordinando or ora, pollo bollito e brodino con le lenticchie!”

“Madre…” interviene il bidone, “lo sa che il brodo non mi piace…che cosa hanno portato?”

“Ci sono dieci galletti al forno, cinque stinchi di maiale, un arrosto di vitello e zuppa di rognoni con cipolle per dieci, come ordinato.”

“E il bue?”

“Quello sta cuocendo nel forno già da sei ore, sarà pronto per pranzo.”

“Bene!” esclama il padrone del mondo.

“È inaudito!” ristrilla la suora.

“Madre…” continua il bidone con voce querula, “non dica così, lo sa che ho la pancia piena di diavoli, se non mangio quelli mi divorano vivo.”

“I diavoli si combattono con la preghiera!” ribatte la suora.

“Lo so, io prego ma loro se la ridono, non se la prenda con me…”

La suora si alza, mi punta un dito sul petto e ringhia: “Mi dica dov’è il telefono.”

L’accompagno all’apparecchio, lei solleva la cornetta e chiama il convento. Parla con la badessa raccontandole i fatti e mentre ascolta la risposta la sua espressione cambia, diventa prima sorpresa e poi stupefatta.

Riappende la cornetta dicendo: “E’ la fine del mondo, sono tutti impazziti…per nostro signore Gesù cristo, che sto dicendo?” si fa il segno della croce, bacia il crocifisso al bordone e continua: “A quanto pare non ci sono problemi, un ordine del papa ha detto, può mangiare quello che vuole.”

“Vi dovete conoscere da molto.”

“Chi?”

“Lei ed il padrone del mondo.”

“Non so, c’era già quando presi i voti.”

Senza dir altro rientra nella sala.

Il bidone è intento a divorare la colazione servito dalle infermiere, quando la vede rallenta un attimo di masticare ma riprende subito. Alla porta c’è il rosticciere che gesticola per richiamare l’attenzione. Mi avvicino e quello dice: “Sono venuto a dirle del bue, anche i maialini, tutto cuoce a puntino, è un piacere lavorare per lei.” la sua voce diventa bisbigliante: “In quartiere gira la voce che lei sta ospitando il padrone del mondo. È vero?…mi piacerebbe tanto vederlo.”

“Lo guardi, è quello là che sta divorando le sue portate.”

Il rosticciere rimane qualche minuto a guardarlo poi si ritrae e dice: “Com’è grosso, deve essere molto importante.”

“Oh sì, importantissimo, presto verranno quelli della televisione ad intervistarlo, ne parleranno tutti i giornali, sarà un caso favoloso, se lei vuole…faccio il pubblicitario, potrei farla entrare nell’affare.”

“Si spieghi meglio.”

“E’ semplice, s’immagini l’effetto, il padrone del mondo è servito dalla rosticceria…a proposito, come si chiama?”

“Carne per i tuoi denti!”

“Bel nome, lei deve essere intelligente, sa l’importanza di far colpo per attirare i clienti, ne parleranno tutti i giornali, quando sapranno che il padrone del mondo si serve da lei verranno tutti a comprare, anche dall’estero, farà milioni a palate!”

Il rosticciere rimane qualche secondo a guardare le palate per aria e dice: “Quanto mi costerà?”

“Il prezzo, che importanza ha in confronto all’utile che le verrà in tasca? Si tratta di milioni, dovrà aprire altre rivendite…guardi, le voglio essere amico, finora mi ha servito bene, uno spot in televisione di trenta secondi costa cinquantamila euro, questo sarà trasmesso nei telegiornali e raggiungerà un numero immenso di utenti senza parlare della carta stampata, le posso fare centomila euro tutto compreso per la prima intervista e poi se ce ne saranno altre ne riparleremo.”

Centomila euro?…sono tanti, come faremo, i giornali lo permetteranno?”

“Non si preoccupi, farò in modo che lo riprendano mentre pranza, metteremo la sua immagine dappertutto, sui piatti, sul tavolo, sul carrello, sul bavagliolo…non parlerà ma quelli che vedranno saranno folgorati e correranno a frotte, allargherà la sua vetrina al mondo.”

Il rosticciere rimane qualche secondo ad osservare le frotte per aria e dice:

“Ho capito…centomila euro sono tanti, se mi facesse un po’ di sconto, l’idea mi piace…”

“Sconto, quale sconto? Negli affari chi guarda i centesimi non vede i milioni, se vuole le posso proporre un’alternativa che le costerà di più ma che pagherà la metà, diventerà il fornitore ufficiale del padrone del mondo, metteremo l’insegna sul davanzale e si preoccuperà del suo mantenimento per…diciamo centoventimila euro, lo vede come mangia…”

“Sì…si può fare, ci devo pensare, anzi, che idea! D’accordo, ci sto, quando verrà la televisione?”

“Presto, mi metto subito al lavoro per prepararle il progetto, bisogna saper cogliere le occasioni, ha un’immagine già pronta da esporre o vuole che gliela prepari?”

“Ho l’insegna del negozio, lei cosa proporrebbe?”

“Ci metterei il padrone del mondo quando vede il bue, il primo morso con i maialini che si sparpagliano sul tavolo…resteranno tutti incantati.”

“Se lo dice lei…che immagine…fa venire fame, sì, proprio quello che ci vuole, allora affare fatto.”

“Non sia precipitoso a decidere, la devo avvertire che i miei metodi sono imprevedibili e la consiglio di premunirsi, forse la chiameranno in televisione e sarà costretto a lasciare temporaneamente il lavoro, faccia in modo che se dovesse accadere l’attività non ne risenta, avvisi i fornitori che potrebbe avere un aumento delle ordinazioni e che si tengano pronti, si informi se in giro c’è qualche rosticceria in vendita per rilevarla in caso di necessità e mi mandi tutto il materiale che ha stampata la sua immagine, scatole, incarti, biglietti da visita, mi occorrerebbe anche una copia dell’insegna da mettere in vista.”

“Per quando le occorre?”

“Subito, i giornalisti potrebbero essere qui a momenti, me la faccia avere insieme al bue.”

“Sì, chiamo subito mio cognato che fa il cartellonista e ne faccio preparare una, le dispiace se telefono da qui?…così se dimentico qualcosa mi aiuta.”

“Va bene, andiamo nello studio, saremo più comodi.”

Ci spostiamo nello studio, mentre il rosticciere chiama il cognato per ordinare l’insegna preparo un abbozzo di contratto, finita la telefonata glielo porgo da leggere.

“Devo firmare?”

“Non è necessario, basta una stretta di mano.”

“Anch’io la penso come lei ma di questi tempi…allora corro subito in negozio a preparare il resto.”

È agitato dall’idea, lo accompagno alla porta e ci stringiamo la mano.

“A mezzogiorno servirò il bue.” dice allontanandosi a passi veloci per il corridoio.

Torno nello studio, come previsto sotto il contratto ha dimenticato il suo telefonino, adesso si tratta di far venire i giornalisti a intervistare il bidone…

 

La vita è un grande teatro che consuma un sacco di energia ma non bisogna dimenticare che questo è solo un sogno, una rappresentazione onirica della realtà, una metafora in evoluzione che cambia faccia ad ogni personaggio.

Nella sala il bidone è ancora intento a lavorar di ganasce, mancano tre ore a mezzogiorno, devono bastare per completare l’opera, così per un po’ non mi dovrò preoccupare di come nutrirlo. La trappola è certa, quel che non è certo è chi ci cadrà dentro.

La suora nera mi viene incontro e dice: “Noi abbiamo finito, è soddisfatto del lavoro?”

“Siete veramente efficienti.” rispondo ammirato dall’ordine che regna nella stanza.

La suora continua: “Io ora devo tornare al convento.” sottovoce: “e là mi sentiranno!” a voce diretta: “La nostra regola non ammette strappi, non le nascondo la mia…” rimane qualche secondo pensosa a cercar la parola, non la trova e dice: “Questa è suor Teresa.” indica la suora bianca. “Lei rimarrà per il resto della giornata ad assistere il paziente.”

A quelle parole il bidone smette di masticare per protestare a bocca piena: “Madre, quante volte le devo dire che non sono malato, non mi chiami così…”

“Sta zitto tu!” ribatte la suora e continua: Il nostro è un ordine di clausura da cui siamo dispensate per le opere di carità ma questa dispensa non ci libera del voto e ovunque noi siamo è il nostro convento. Durante il giorno potrà usufruire del servizio ma per la notte suor Teresa dovrà rientrare per assistere alle funzioni a meno che lei fornisca i luoghi per deporre un altare e  il suo pernottamento.”

Quanti problemi, questo sogno va ad effetto e rispondo. “Capisco perfettamente, il padrone del mondo è una responsabilità grave è preferirei usufruire dei vostri servizi anche di notte. Questa casa è grande, negli ultimi anni mi sono ridotto ad un angolino appartato ed ho dimenticato quanto. Sono certo che troveremo i luoghi adatti ai vostri bisogni.”

Nella sala, sulla parete di fronte al balcone, c’è una grossa credenza dietro alla quale c’è una porta che non apro da…aiutato dalle infermiere sposto il mobile e la scopro. Ragnatele, polvere, qualche ragno che fugge, la porta è ancora lì, la maniglia arrugginita stenta ad azionarsi poi con un crac! sordo cede e  si apre.

Sembra un labirinto multiplo, un’esplosione di dedali da esplorare, accendo un fiammifero e scopro un’ampia stanza che mai avrei immaginato di avere in casa, una cripta funeraria costellata di tombe alle pareti con un altare al centro  ricoperto da un drappo bianco su cui svetta uno spettacolare crocifisso, un cristo bellissimo, il corpo teso nell’agonia, i muscoli contratti dal dolore.

La suora bianca entra nella stanza svolazzando la tonaca come una ballerina ed esclama: “Che posto magnifico, è sempre stato nei miei sogni, com’è bello nostro signore!” si inginocchia di fronte al crocifisso e rimane estasiata, a bocca aperta a guardarlo. La suora nera e le due infermiere si inginocchiano a fianco a lei e per qualche minuto rimangono immobili bisbigliando preghiere silenziose.

Suor Teresa si alza leggiadra e dice: “Sono certa che qui, da qualche parte, ci deve essere...” si dirige verso una porticina in ombra e la apre. Oltre c’è una stanzetta, in un flash si vede lo studio dell’autore mentre scrive poi tutto diventa polveroso ed a polvere calata appare una cella monacale con un lettino e poche suppellettili.

“Splendido!” esclama suor Teresa.

Intanto ragiono: “La pazzia è l’in sé di ogni pazzo così come il formicaio è l’in sé di ogni formica se la formica è nome, se a essere nome è il formicaio in questo caso la forma del formicaio è la formica e la forma del manicomio è il pazzo.

La causa non è effetto e pendola tra i poli perché quando è effetto non è causa.

Rientrati nella sala dico: “Ora è soddisfatta?”

La suora nera, con gli occhi trasognati in cui ancora si adagia il crocifisso, risponde: “Lei deve essere un sant’uomo per avere in casa un simile tempio.”

“È la prima volta che lo vedo, se l’avessi saputo prima…” vorrei continuare dicendo che aborro totem e feticci ma preferisco passare, ai pazzi si dà sempre ragione e continuo: “L’avrei messa in ordine per accogliervi con le dovute maniere.”

“Oh…a questo non si preoccupi, ci penserà suor Teresa. Adesso vado, rimarrà anche un’infermiera per il giorno e ne verrà un’altra a sostituirla per la notte. Nel pomeriggio tornerà il prete per benedire e riconsacrare l’altare.”

“Questo pomeriggio sarò assente, se è possibile vorrei che  venisse a mezzogiorno, mi piacerebbe assistere alla funzione.”

“E’ stato il santo padre ad intercedere per lei, deve avere le sue ragioni e non spetta a me giudicare il suo operato, farò in modo che il prete venga a mezzogiorno.”

 

Il computer è acceso sui sei fiori di est, gioco una scartina a picche e ovest scopre le carte, a picche ha asso re dieci cinque e due, donna dieci otto e quattro a fiori, asso donna dieci e otto a quadri e neanche una cuori. Risponde con l’asso, il mio socio col sette ed est scarta una quadri, probabilmente l’unica che ha. Ovest gioca il dieci di fiori, il socio risponde col fante, est copre con l’asso. La partita è finita, sposto la giocata in automatico e guardo gli avversari farsi tutte le mani rimanenti. Sei fiori più una surcontrate, in una partita reale avrei perso un sacco di soldi, chissà perché ho voluto contrare, sono ancora troppo impulsivo. Mentalmente prendo nota del fatto senza dargli alcuna importanza, giocare con un computer è poco eccitante, il bridge come la pubblicità è un gioco per bari incalliti, bleffatori di professione, ladri e imbroglioni all‘occorrenza anche assassini, così  è solo routine programmata, sta diventando noioso, ci vorrebbe… cerco delle alternative ma sono già le undici, gli impegni pressano e mi metto al lavoro.

In qualsiasi attività impostata la causa, cioè la necessità, tutto il resto è effetto, conseguenza.

Il rosticciere è tornato per cercare il suo telefonino, naturalmente gli ho detto che non c’era, per rassicurarlo abbiamo rifatto il percorso del mattino chiamandolo dal mio telefono ma quello non ha squillato perché l’avevo spento.

Adesso prendo venti bigliettoni da cinquecento euro, li stropiccio un po’ e poi, uno ad uno, li butto dalla finestra. Dopo qualche secondo da sotto si sente gridare, col telefono del rosticciere esco senza farmi vedere da nessuno e scendo in strada.

Di fronte alla casa si è radunata una piccola folla che ne sta lentamente richiamando altra, alcuni nel mezzo altercano a voce alta, altri stanno arrampicandosi su un albero del viale dove si sono posate alcune banconote.

Le undici e trenta, dal marciapiede telefono alla banca più vicina, un’agenzia del san Paolo, e all’impiegata che risponde dico, con voce alterata scandendo le parole: “Brutta troia, stanno per rapinare la banca, avverti i tuoi padroni di mettere i soldi al sicuro.”

Alle undici e quarantacinque arrivano tre auto della polizia a sirene spiegate e si fermano davanti alla banca. Gli agenti entrano con le armi spianate seguiti da uno stuolo di giornalisti, fotografi e cameramen sopraggiunti con loro mentre altra folla si raduna.

Alle undici e cinquanta dalla rosticceria escono due garzoni con un carrello su cui è appeso il bue ripieno di maialini e altri due con l‘insegna del negozio, rasentano la folla stupefatta ed entrano nel portone insieme al prete ed al chierichetto venuti per benedire.

A quel punto telefono alla polizia e sempre con voce alterata dico al piantone che risponde: “Aiuto! Nell’appartamento sotto casa mia stanno violentando una suora, poverina…sentite come strilla, fate presto!”

“Chi parla?”

“Presto, fate presto!” gli do l’indirizzo, glielo faccio ripetere per assicurarmi che l’abbia scritto giusto e aggiungo: “E’ una suorina tutta bianca, indifesa, fate presto, sentita come strilla!”

Chiudo la comunicazione, butto il telefonino del rosticciere in un cestino dell’immondizia e rientro in casa, dalla finestra dello studio aspetto quei pochi minuti per far sì che la polizia e i giornalisti si spostino dalla banca facendosi largo tra la folla per entrare nel portone quindi vado ad aprire la porta della sala, fuori dalla quale stanno aspettando il bue e il prete. Ecco fatto, mi metto in disparte ed osservo il resto.

I commessi fanno in tempo a posare sul tavolo del padrone del mondo il bue che nella stanza irrompe la polizia. I fotografi si sparpagliano fotografando dappertutto, flash puntati soprattutto sul bidone che ha abbracciato il bue spaventato dalla confusione cercando di trattenere i maialini fumanti che si sparpagliano sul tavolo mentre i garzoni dietro sistemano l’insegna del rosticciere.

Lascio che la sorpresa si smorzi ed intervengo. “Che volete?” chiedo ad un poliziotto.

Quello abbassa la pistola e risponde: “Ci hanno telefonato denunciando una suora violentata, che sta succedendo qui dentro?”

“Un pranzo tra amici, qualcuno deve avervi fatto uno scherzo, la suora c’è ma nessuno la sta violentando.” indico suor Teresa in un angolo appartato della stanza  che osserva la scena a bocca aperta.

Il poliziotto la va a interrogare, poi parla col prete e torna dicendo: “Ci deve scusare, c’è una folla fuori, anche noi pensavamo ad uno scherzo ma tutta quella gente…adesso…”

“Nessun problema, son cose che capitano, avete fatto il vostro dovere.”

“Troveremo quel burlone e gliela faremo pagare!” esclama il poliziotto convinto.

“Sono certo che lo farete, intanto…” indico lo stuolo di giornalisti che si è accalcato intorno al bidone riprendendolo e fotografandolo in tutte le posizioni mentre quello agitato per la paura che glielo portino via dà morsi al bue ingoiando a grossi bocconi,  “liberatemi da quei seccatori che stanno disturbando il mio ospite.” 

“Chi è?”

“È il padrone del mondo.”

Il poliziotto sta qualche secondo in silenzio rimuginando le parole e dice: “Sì, qualcuno ci ha avvertito, c’era la voce che girava, quello è il padrone del mondo? Allora tutto è chiaro, ci deve essere qualche associazione segreta, forse la mafia, faremo di tutto per rintracciare l’autore delle telefonate.”

Il poliziotto parla con gli altri poi si dirigono verso i giornalisti intimandogli di uscire ed alle loro proteste li spingono fuori.

Il ferro va battuto quando e caldo, nel corridoio li fermo e dico: “Siete entrati in casa mia abusivamente, dovete consegnare tutte le immagini ed i filmati che avete ripreso altrimenti siete ladri!”

“Come sarebbe?” strilla uno, “noi agiamo per la libertà di stampa, tutti devono sapere, quello è il padrone del mondo, erano anni che lo cercavamo.”

Mi avvicino al poliziotto e dico: “Cercava i responsabili? Li ha trovati, hanno inscenato la commedia per poter entrare in casa mia gratis ad intervistare il padrone del mondo!”

Il poliziotto li guarda sospettoso accarezzando le manette alla cintura ed il giornalista di prima dice: “Un momento, lei ci accusa impunemente, noi seguivamo la rapina in banca, non sapevamo…”

“Queste sono solo parole!” ribatto.

“Lo dice lei, noi, la libertà di stampa, protestiamo!”

In quel momento suona il telefonino del poliziotto. Dalla voce concitata che parla al di là dell’etere pare che approfittando della confusione qualcuno abbia veramente rapinato la banca, i poliziotti escono di corsa seguiti da metà dei giornalisti, quelli rimasti mi si fanno intorno ed uno dice: “Senta, non ci si potrebbe mettere d‘accordo, ha detto gratis, se è solo questione di soldi se ne può parlare, se mi concede l’esclusiva…chiamo il direttore, se vuole…”

Tralasciando i particolari ci siamo accordati per cinquecentomila euro, gli ho lasciato riprendere il bidone mentre divorava il bue e concesso un appuntamento per l’intervista quando avrebbero portato i soldi. I giornali del pomeriggio e le televisioni esponevano in prima pagina l’immagine del padrone del mondo ed  il bue con dietro l’insegna del rosticciere, questo aveva il negozio assediato da una folla di compratori affamati, verso le quattordici la polizia, rintracciato il telefono colpevole, è venuta ad arrestarlo seguita da uno stuolo di giornalisti che con l’arresto riprendevano il negozio sotto tutte le angolazioni ma lo hanno rilasciato subito anche grazie alla mia testimonianza che alle undici era venuto a cercarlo dopo averlo perso.

Il resto della cagnara che segue non ha importanza, la vera rapina non l’avevo prevista ma son cose che capitano, adesso ho rimpinguato le casse e per qualche giorno potrò stare tranquillo, ci sono un sacco di cose da ficcarci il naso.
 

 

                                            Il diavolo  


Per la logica pura il nome non è forma, il diavolo non è dio, la forma del diavolo è dio.

Per il nominalismo il nome è forma, il diavolo è dio e se è dio non è il diavolo.

Il nominalismo è una logica accomodante, è e non è secondo i casi soprattutto quando si confronta con l’evidenza della realtà.

La stessa cosa viene chiamata con due nomi diversi che assumono forme immaginarie da un giudizio a priori stabilito per legge e trascendono l’essere reale della cosa che non è  dio e non è il diavolo.

Le spiegazioni non servono, per i matti del manicomio non esiste ragione, l’in sé del nome viene sostituito con un altro nome e diventa cognome trascinando i morti nei vivi. La credenza prende corpo ed i pazzi credono di essere…credono e credere non è essere, la credenza diventa la forma dell’essere rimanendo nome e agisce per imitazione.

 

È venuta sera, che giornata infernale.

Via i giornalisti è stata la volta del prete, suor Teresa ricordandomi la promessa ha voluto che assistessi alla funzione. I matti vanno sempre assecondati specialmente quando rappresentano la forza maggiore, l’indecisione non era mia che sono solo un personaggio letterale ma dell’autore, lui un tempo credeva di non credere ed adesso vuole divertirsi, vallo a capire stoccazzo di autore, è lui che scrive, non prendetevela con me.

Visto al di fuori del bene e del male il mondo dei religiosi ha un certo fascino, le cerimonie, la musica dell‘organo, i costumi, le scene, la spettacolarità…per la ragione sono tutti pazzi ma questo non significa niente perché loro credono di non esserlo, non esseri della ragione, dei robot, una specie a sé. Il difficile è separare questo mondo di pazzi dal potere di cui sono strumento, difficile nella realtà, qui siamo solo parole, tra noi siamo tutte uguali, non esistono buoni o cattivi, belli o brutti, nobili o plebei, puttane o suore e nei limiti delle probabilità possiamo fare quello che ci pare.

Il sacerdote ha deposto l’ostia nel tabernacolo sopra l’altare dopo varie genuflessioni e fumo d’incenso, tutte le candele erano accese, la cappella illuminata era splendida e lugubre insieme, la vedevo per la prima volta: il soffitto a volta affrescato con scene di martiri aureolati barbuti e seminudi che pestavano nel fango demoni infocati con bagliori d’apocalisse di sfondo, sulle pareti le tombe erano allineate a mosaico, ce n’erano di grandi e di piccole, tutte portavano incise un nome ed un’immagine ma il tempo le aveva sbiadite ed i segni apparivano come rughe sulla faccia di un vecchio morto.

Il crocifisso era maestoso, crudele nella sua espressione di atroce sofferenza e velatamente osceno. I genitali protesi, gonfi sotto il manto di marmo che lo ricoprivano modellato in modo da risaltarne ogni ombra nascosta acceso e infiammato dal fuoco delle candele nell’atmosfera di morte emanata dalle tombe, sporgevano in avanti per l’atroce tensione del peso.

Suor Teresa e l’infermiera sono state per tutto il tempo a fissarlo incantate a bocca aperta, anche il prete ed il chierico tradivano una certa emozione.

Finita la cerimonia ci siamo trasferiti in cucina,  ho bevuto un bicchiere di vino stappando una bottiglia da quelle portate dal rosticciere con il sacerdote e gli ho lasciato un bigliettone per la parrocchia. Per l’odore di disinfettante che profumava la stanza il vino acuiva il gusto di medicinale e non sono riuscito a gustarlo.

Andato il prete mi sono soffermato a guardare il padrone del mondo beatamente addormentato abbracciato al suo bue di cui una coscia ed un intero quarto erano già state spolpate inseme a quattro maialini le cui ossa biancheggiavano sotto il tavolo.

Il ragionamento è iniziato subito dopo, quando mi sono ritirato nello studio. Quei due rifilandomi il bidone hanno innescato la causa ed ora mi sto comportando ad effetto. Il gioco è spietato, la vera rapina in banca mi ha messo in allarme, forse controllano le mie azioni e si comportano di conseguenza colpendo dove lascio aperto il varco. Questo è probabile ma allora sono loro che stanno agendo ad effetto…la probabilità che appare è atroce ma non abbastanza da impressionarmi. Venni interrotto dalla visita di un ispettore di polizia, vestito come un bandito di strada con barba incolta ed orecchini che accolsi nello studio e con cui svolsi un’interessante conversazione.

Dopo aver mostrato il tesserino iniziò col dire che era venuto in veste ufficiosa, la questura aveva ordinato di insabbiare la faccenda ma a lui non andava giù che si potessero rapinare le banche e nello stesso tempo prendersi gioco della polizia, che sospettava di me, lo disse francamente e voleva sapere perché l’avevo fatto.

Recitava o era sincero? Continuò col dire che tutto era iniziato perché qualcuno da questa casa aveva buttato delle banconote da cinquecento euro in strada.

Gli chiesi se le aveva viste e lui disse di no, per paura di doverle restituire nessuno si era fatto avanti.

“Allora lo crede! Qualcuno può averne trovata una, un caso e poi sa come corrono le voci.”

A me non piace mentire ma anche lui stava mentendo e dovevo stare al gioco.

Lo sbirro rispose: “I casi sono troppi, le ripeto che non sono venuto come poliziotto, è…come dire…il mio mestiere, sono appassionato e mi piace chiarire i misteri per professione.”

Intuivo che era intelligente e che stava giocando da gatto credendo di avere di fronte un topo.

“Ha ragione a sospettarmi.” dissi, “Lei mi è simpatico e voglio essere sincero, è stata tutta opera mia ma l’ho fatto per contratto, d’accordo con i padroni della banca che mi hanno commissionato il lavoro, questa è la ragione per cui il questore vi ha ordinato di chiudere il caso.”

“Non capisco!” esclamò il poliziotto sbalordito.

“Lei sa che sono un pubblicitario. Vuole che le mostri le statistiche di incremento dei versamenti dopo ogni rapina in banca? Si parla di centinaia di milioni di euro, un affare colossale, sono certo che la rapina non deve aver fruttato molto.”

“Infatti, per sicurezza dopo la telefonata avevano ritirato quasi tutto il contante, ma allora…lei vuole scherzare, vuol dire che è stata tutta una messinscena? Che la banca ed il questore sono d’accordo con i rapinatori? Questo è un mondo che…certe volte mi chiedo cosa ci stiamo a fare noi della polizia se succedono queste cose, come si fa a capire chi sono i veri delinquenti. Comunque non credo ad una parola, lei si vuole prendere gioco di me, se fosse vero non me l’avrebbe mai detto, non so proprio che fare, mi ha lasciato di sasso.”

Scambiammo ancora qualche parola di convenienza bevendoci un cicchetto di whisky, volevo dirgli che se nel manicomio si fossero arrestati i veri delinquenti tutte le polizie sarebbero rimaste senza stipendio e con ogni probabilità per non morire di fame si sarebbero messi a rubare ma mi trattenni per non confonderlo ulteriormente.

Poco dopo arrivò il rosticciere, appena rilasciato dalla prigione. Disse subito che non sapeva se indignarsi o gettarsi ai miei piedi, era sbalordito, il negozio aveva incassato in giornata quanto un intera settimana, fortunatamente aveva avvertito i fornitori e chiamato suo suocero per aiutarlo e le ordinazioni aumentavano, disse che era già in trattative per acquistare una nuova rivendita, che lo pensava da tanto per sistemare i figli ed era stupefatto di come avessi fatto a prevedere tutto.

Traggo un brano del suo discorso: “io pensavo che lei volesse fare una pubblicità come quelle che si vedono in televisione, una cosa normale, invece…lei mi ha usato, è vero, mi sento…non so la parola…ho sempre lavorato e ho letto pochi libri ma quando andavo a scuola ce n’era uno che mi aveva colpito, la storia di Faust, mi sono sempre chiesto quel che avrei fatto al suo posto se il diavolo mi avesse tentato…ebbene, il patto che ho fatto con lei mi sembra proprio…”

“Non le ho chiesto nessuna anima.” gli dissi ridendo.

“È vero ma mi ha fatto capire cose che non sapevo neppure che esistessero e la mia anima non è più quella di prima.”

Siamo passati nella sala. Il padrone del mondo continuava imperterrito a divorare il suo bue.

“Credo che presto sarà finito.” disse il rosticciere.

“Dopo un simile pasto meglio tenersi leggeri, per domani prepari un bel pentolone di spaghetti pomodoro e basilico, dieci tacchini farciti di polletti arrosto, qualche forma di formaggio misto ed una grossa torta di mele con la panna, che sia almeno venti chili e metterei in cantiere un torello giovane per dopodomani, questa volta farcitelo con dei cinghialetti, qualche lepre, ci metterei anche un paio di capretti.”

A quelle parole il bidone ha sollevato un femore del bue che stava scarnando per annuire soddisfatto ed il rosticciere ha continuato:

“Come desidera, ho allestito un padiglione in campagna per arrostire il bue, se non le dispiace le ruberò l’idea, intendo aprire un ristorante per cucinare solo buoi interi, accorreranno a frotte…”

Il resto del pomeriggio è passato indisturbato a parte l’arrivo di un camion di medicinali con cui la suora e l’infermiera hanno tappezzato la cucina e la cella ed ho avuto il tempo di continuare il ragionamento.

Ora tutti dormono, davanti ho il computer acceso sulla pagina web bianca, con la mossa di oggi sono riuscito a guadagnare tempo ma quanto durerà? Devo a tutti i costi rintracciare i furbacchioni che mi hanno rifilato il bidone. Tutto gira di fronte al potere economico che governa il mondo impostando la causa prima, guarda caso lo stesso potere che stava dietro i baffetti di Hitler, ci sono le dinamo economiche dei Rothschild, gli impianti estrattivi dei Rockefeller e le industrie chimiche della Bayer, nomi la cui forma giace sepolta sotto montagne di debiti che li stanno dissanguando, legati da un unico filo conduttore che si ramifica comprendendo tutte le attività umane. Delle tre la Bayer appare la più importante, intuisco che ha a che fare con l’idea ebreonazista di razza eletta ma è una cosa completamente diversa della logica hegeliana di super uomo in sé di un super popolo, qui si tratta dei russi, il modello russo pre rivoluzione di un amministratore tedesco ignorante e fedele su un villaggio di muzic con in centro un ghetto ebreo a fare da dinamo di raccolta per la Rothschild e da modello tra un pogrom e l’altro. La cellula base, il software sociale.

Vogliono la pubblicità per tirarsi su e mi invitano ad una caccia al tesoro. Che sfida appassionante…

Rimando il ragionamento e clicco per una nuova smazzata di bridge.

 

Il mattino si apre col telefono che squilla in continuazione, ho risposto a qualche chiamata, giornalisti che cercano l’intervista, aziende con proposte di lavoro, poi ho staccato la spina. La sensazione di essermi infilato in un vicolo senza uscita è probabile ma anche il contrario lo è, il labirinto è appena all’inizio.

In cucina suor Teresa è indaffarata a contare pillole ed a pesare polverine su un bilancino, la veste monacale bianca ed immacolata le aderisce sul corpo filiforme facendola apparire come un lungo palo elastico di cui solo l’ovale libero del viso, pallido ed anonimo come una sfinge, ha parvenze di vita.

“Che succede?” chiedo.

Lei sobbalza sollevando la testa e mi guarda: “Oh, è lei…mi ha spaventata, buon giorno, preparo le medicine per il paziente, ne ha molto bisogno, ha visto com’è vecchio poverino…”

“Dall’appetito che ha non sembra affatto malato.”

Suor Teresa arrossisce e continua: “Oh sì che lo è, tutti i vecchi lo sono, mi vuole insegnare? Fino a ieri ho lavorato in ospedale, ne so quanto un medico, le medicine sono un bene di dio, aiutano i malati a sopportare il loro calvario, per nostro signore Gesù Cristo. Se ha bisogno, se sta male mi chieda, la farmacologia è il mio campo, posso aiutarla.”

“Non mi piacciono le medicine, il miglior medico è il nostro corpo e per il resto…ha letto Dostoevskij?”

“No.”

“Ivan Karamazov: a trent’anni e giù la coppa! Questa è filosofia.”

“Non capisco…”

“Non se ne crucci. Vorrei fare colazione, ha messo medicine da tutte le parti, dove è nascosto il caffè?”

“Il caffè non glielo consiglio, fa male al cuore, se vuole le dò qualche goccia di veronal con il latte, anche lei non è più tanto giovane, dovrebbe premunirsi dagli attacchi di cuore, se vuole…”

“Nessuno medicina e vorrei che neanche il padrone del mondo le prendesse.”

“Questo è impossibile, vuole vedere la sua cartella clinica? Ha problemi al fegato, allo stomaco, agli intestini, al cuore, alla milza al…se non prendesse le medicine morirebbe.”

“Come un eroinomane…”

“Non capisco.”

“Lo sa chi ha inventato l’eroina?”

“Non la nomini, è il diavolo che può averla inventata, lei non sa, al Cottolengo ci sono…”

“Nessun diavolo, è stata la Bayer con i soldi che i Rothschild forniscono ai Rockefeller per pagare il fabbisogno energetico degli stati, tutti gli artisti sono caduti nella trappola.”

“Per nostro signore Gesù Cristo, lei mi vuole confondere…la Bayer lavora per il bene dell’umanità, non può…”

“Lei deve essere proprio una santa…”

“Oh sì, lo dicono tutti. Comunque il caffè e le altre cose sono nello sgabuzzino, ho sistemato tutto là, lei ha chiesto la nostra assistenza e si è impegnato a non interferire così ho pensato di creare un ambiente come quello da cui provengo perché altrimenti mi sarei persa. Se vuole glielo preparo, le consiglio di metterci qualche goccia di valium, la vedo agitato, l‘aiuterà a rilassarsi.”

“Grazie, preferisco fare da me.”

Mentre la caffettiera è sul fuoco le chiedo: “ Le spiace aver lasciato l’ospedale per venire qui?”

“Noi abbiamo fatto il voto di ubbidienza e non abbiamo voce in proposito. All’ospedale stavo bene, aiutare i malati è la mia missione, farò tutto quello che posso anche qui, se il signore mi aiuta.”

Il ragionamento continua, questa suora l’hanno scelta tra tante ed avranno avuto i loro motivi, loro impostano la causa e si appoggiano sull’effetto, la causa in sé è effetto ma in questo caso spostato nel tempo, la causa prima di ieri non è oggi causa di domani. La probabilità è un effetto fatto apparire come causa che dal passato controlla il presente. In questo caso il presente appare come effetto ma continua a essere causa…la figura di un burattinaio burattinato dai burattini che continua a fare il burattinaio in una logica al contrario dove il male ha la forma del bene in tutte le probabilità, anche in quella possibile.

Bevuto il caffè mi sento meglio…la sensazione della montagna immensa di fronte al sassolino che la vuole disgregare, cerco una parola migliore ma che importanza ha se le parole sono tutte uguali? Montagna, sassolino…la logica va oltre e vola lontano ma nel frattempo tiene i piedi a terra.

“Siamo un sogno.” le dico.

“Che sogno?”

“In questi giorni avrò molto da fare, il padrone del mondo è un peso e se le medicine lo possono alleviare ben vengano, se lui è d’accordo le può dare tutto quello che vuole.”

“Farò del mio meglio ma lei non lo deve viziare troppo, tutti quei cibi sono pesanti, quello mangerebbe in continuazione e poi…bruciori di stomaco, incontinenza, diarrea…se lei permette ci sono cibi preconfezionati che costerebbero meno e lo soddisferebbero ugualmente, lasci fare a me.”

“Lo deve conoscere bene.”

“Ho la cartella clinica.”

“Il padrone del mondo mi è stato affidato e la sua responsabilità si deve limitare a tenerlo ordinato, ho un contratto col rosticciere, lo lasci mangiare quello che vuole.”

“Bene ma poi non venga a lamentarsi con me se starà male. Lei…anche il santo padre si è interessato, dev’essere un uomo importante, che lavoro fa?”

“Sono un pubblicitario.”

“Vuol dire quelli che fanno la pubblicità?”

“Esattamente.”

“Dev’essere un lavoro affascinante, da ragazza, prima di prendere i voti, guardavo sempre gli spot in tivù e sognavo di…cosa dico? Che Gesù mi perdoni, ora…lei fa gli spot?”

“Qualcosa del genere ma su un altro livello.”

“Io sono serva del signore e la mia vita è missione ma non creda che sia scema, lo so che voi intellettuali disdegnate le nostre credenze, le scritture dicono che dio apparirà agli empi e gli aprirà gli occhi, tra noi in convento ne parliamo sempre, noi crediamo che voi siete pecore sperdute in un mondo di illusioni e prima o poi la luce del cristo redentore vi toccherà!”

“Come ha toccato lei.”

“Sì, mi ha proprio toccata. Il signore è…tutto! Lui, sulla croce, amore dell’umanità…”

“Una grande superbia!”

“Cosa dice?”

Le parole mi sono sfuggite di bocca come se fosse stato un altro a parlare, la pazzia è disarmante, la semplicità candida come un giglio alla rugiada del mattino ma la bocca che parla non è quel che pensa il culo e  nel manicomio la regola è universale… i suoi pensieri sono: “Chissà quanto ce l’ha lungo, chissà se la lecca, me lo farei alla pecorina, tutta distesa…” questi pensieri si scontrano con l’abito e tornano indietro rimbalzando in avanti con altre tentazioni…il problema è che tutto fluisce verso il crocifisso ed il suo cazzo innominabile, il peccato rimosso che rode dal fondo del suo animo e che in qualche modo castra la ragione, era fondamentalmente la credenza di tutti, il golem universale, l‘abito che ha preso corpo. È  solo un’intuizione, non crediamo a nulla ed il caso è compreso, il labirinto è costellato da tombe credenza e quel che reputiamo senza peso può in realtà averne molto, non poteva non essere stato previsto, tutto sta a rivoltare la causa che si crede effetto.

La suora continua: “Lei non può parlare così, lui, il figlio di dio, si è immolato per il bene dell’umanità, è il nostro salvatore, lei non vede l’amore, la devozione, il sacrificio, Gesù ha gettato un ponte tra la vita eterna e l’umanità per salvarla dalle fiamme della perdizione, non può chiamarla superbia.”

Vorrei dire che un dio che crea gli uomini per mandarli all’inferno se non fanno i buoni è un mostro per giunta idiota, che la causa del male è il bene ma mi trattengo, a che servirebbe?  La credenza è ben radicata, è lei che parla dalla sua bocca, un esemplare campione di una specie particolare trascendente la natura e la ragione che il caso mi ha messo nelle mani, se voglio comunicare devo darle corda, non è qui a caso e così chiedo: “Mi vuole convertire alla sua causa?”

Il fanatismo le ha acceso gli occhi che ora si muovono agitati per la stanza cercando tra le pareti e gli scaffali di medicine qualcosa che confermi le sue parole. Risponde: “Convertire gli increduli fa parte del nostro dovere per salvare gli uomini dal peccato in cui vivono così come lui ci ha insegnato ma  non è obbligato a farlo, la sua luce illumina gli eletti e se  non la vede ho pena per lei.”

“Brucerò all’inferno! Pregherà per me?”

“Lei scherza, non parli così, il diavolo potrebbe sentire, lei non conosce, non ha mai visto, al Cottolengo ci sono casi di indemoniati, se non ci fossero le medicine…il male è ovunque e appare dove meno se l’aspetta. Non amo parlare di queste cose, al monastero mi hanno messo in guardia, sono sincera, hanno detto che lei usa le parole come specchi e le fa dire quello che vuole ma l’avverto che la mia fede è così salda che preferirei morire piuttosto che tradirla. Ora basta, cambiamo discorso, è lei che ci ha chiamate, mi prenda come sono. Ha detto di fare il pubblicitario, il suo deve essere un lavoro affascinante, perché non me ne parla, ho qualche momento libero, il padrone del mondo sta facendo colazione, c’è l’infermiera che lo assiste.”

“Poi lo andrà a raccontare alle sue sorelle in convento?”

“Certo, noi ci diciamo sempre tutto.”

“Anche al confessore?”

Rimane un attimo in silenzio e riprende: “Sì, anche a lui, c’è forse qualcosa di male in quello che fa?”

“Mi piacerebbe proprio conoscere i suoi peccati, si confessa spesso?”

“Di questo non sono tenuta a parlare.”

“Che cosa vuole sapere della pubblicità?”

“Che cos’è prima di tutto.”

“Un’arte molto semplice, bisogna dar fuoco ad una cosa poi caricarla in un cannone e spararla sul bersaglio da incendiare, più grande è il botto e più si guadagna. La pubblicità è l’anima del commercio ma la si può vedere anche in altri modi, in politica soprattutto, conosce la favola dell’asino e della carota?”

“Ho capito perfettamente, qualcosa di simile alla favola del pifferaio magico che porta i topi ad affogare.”

“Esatto. Le piacciono le favole?”

“Le nostre letture si limitano alle sacre scritture, alle vite dei santi ed all’esempio che ci hanno lasciato, da ragazza, prima di prendere i voti, mi piaceva ascoltarle ma quando vidi per la prima volta il crocefisso rimasi abbagliata e da allora ho dedicato la mia vita a lui e non me ne sono più interessata.”

“Dev’essere un grande amore il suo, ha rinunciato alla vita per consacrarsi al signore, il figlio di dio.”

“Sono entrata nella vita, lei non può capire.”

“I pubblicitari devono essere buoni psicologi, si tratta di far colpo per attirare le masse e queste sono come una persona sola, ognuna con un proprio codice di comportamento ed una mentalità e vanno tutte assecondate nei loro capricci per poterle catturare in un’unica rete. Quello che lei dice sembra una grande superbia ma naturalmente le mie sono solo parole e se lei crede il contrario non la voglio contraddire, la pubblicità deve prima di tutto illuminare se stessa e la vera libertà è esente da giudizio, ogni cosa è fenomeno, effetto e chi vede la causa non si stupisce di nulla.”

La suora rimane qualche secondo silenziosa accarezzando inconsciamente il crocifisso legato alla cintura e dice: “Lei mi vuole provocare ma a questo sono abituata, con noi la gente si comporta sempre in modo strano e noi ce la ridiamo di quello che pensano.”

“Gli parla spesso?”

“A chi?”

“A lui, il suo amore, il crocefisso.”

“Come fa a saperlo?”

È arrossita di colpo, si alza, guarda l’ora e dice: “Ora ho da fare, mi scusi.”

Sono tornato nello studio d’umore allegro, l’autore mi sta usando come sonda per perlustrare un mondo chiuso e misterioso e la mia allegria è di buon auspicio. Il sistema si ripete assumendo comportamenti all’apparenza diversi ma formalmente identici. Sto lavorando all’interno di un computer, la terminologia è un unico software rivestito da un hardware, un abito che lo condiziona. I furbacchioni si sono resi necessari, il padrone del mondo non può vivere senza medicine, il sistema senza energia e le banche senza soldi, se cadono è la guerra, il caos e questa volta non ci saranno ricostruzioni…di che mi preoccupo? Il problema è serio, lasciamo fare alla spontaneità, che bello essere liberi…

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